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Islam a Telesia, le incursioni arabe e saracene nel Sannio longobardo. Viaggio nel tempo sulle invasioni che portarono devastazioni, epurazioni e saccheggi fra Volturno e Calore, raggiungendo il cuore della Valle Telesina di Telese

Islam a Telesia, le incursioni arabe e saracene nel Sannio longobardo. Viaggio nel tempo sulle invasioni che portarono devastazioni, epurazioni e saccheggi fra Volturno e Calore, raggiungendo il cuore della Valle Telesina di Telese

Emilio Bove

Libro: Libro rilegato

editore: ABE

anno edizione: 2024

pagine: 144

Una trasmissione radiofonica, parodia dei Tre Moschettieri di Dumas, fu sponsorizzata dalle due più importanti aziende italiane della catena alimentare: la Buitoni, nata nel 1827 a Sansepolcro in provincia di Arezzo e la Perugina, famoso marchio alimentare di rilievo nazionale, creato nel 1907 da Francesco Buitoni, Luisa Spagnoli e da suo marito Annibale. Tra tutte le figurine, quella maggiormente ricercata fu il "feroce Saladino", una vera e propria rarità. Per volere delle ditte, quella figurina venne distribuita così poco da farla diventare merce di scambio in una sorta di mercato nero. ll movimento creatosi intorno a questo personaggio, lo fece diventare celebre. L'immagine del saraceno raggiunse quotazioni notevoli e contribuì in maniera determinante al successo dell'iniziativa pubblicitaria scatenando una morbosa curiosità intorno a questa figura. Chi era il feroce Saladino? L'immagine proposta nel disegno delle figurine era frutto della fertile matita di un disegnatore torinese Angelo Bioletto e rappresentava l'icona stessa della ferocia musulmana. Un vero e proprio terrorista ante litteram. L'espressione arcigna, il naso prominente, la fronte corrugata sotto l'elmo con la mezzaluna rappresentavano i tratti salienti del guerriero che veniva raffigurato mentre imbracciava uno scudo ed una scimitarra. Ancor oggi la sua figura si presta a parecchie similitudini con i più moderni combattenti palestinesi o ai guerriglieri dell'Isis. Il mito del feroce Saladino, figura favolosa dall'alone quasi mitologico, altro non è che il prodotto di una cultura di derivazione medievale che riteneva gli Arabi esseri inferiori, rozzi e primitivi, infedeli in quanto non aderenti alla chiesa cristiana e pertanto indegni di appartenere alla civiltà latina. Nei libri di storia, Saladino viene riconosciuto come il sultano d'Egitto e di Siria, fondatore della dinastia degli Ayyubiti. Di ortodossia sunnita, combatté incessantemente i crociati estendendo il suo dominio dall'Egitto alla Palestina, dalla Siria allo Yemen. Le sue gesta impavide ispirarono poeti e scrittori e diedero vita ad una fiorente letteratura, oltre che a film e a spettacoli musicali. La sua figura di condottiero audace e spietato fu raccontata da numerosi cantori, che posero in risalto l'abilità guerriera e la crudeltà ma anche le virtù cavalleresche, la prudenza e la razionalità nell'assumere decisioni politiche. Lo stesso Dante lo citò nel Convivio e nella Divina Commedia ponendolo nel limbo, tra gli spiriti "magni". Da questa premessa è partita la penna del dottore Emilio Bove per ricordarci delle invasioni musulmane nel Mezzogiorno. Con un excursus dai Longobardi all'Età moderna, allorquando le fazioni in lotta chiamarono a combattere sotto le loro insegne truppe mercenarie islamiche che trasformarono il Sannio in terra di incursioni e di saccheggi e si trasformarono da semplici mercenari in veri e propri conquistatori. Vasti territori del Sannio furono investiti dalle loro scorribande. Gli aggressori proruppero dovunque senza eccessivi problemi: giunsero al mare, risalirono lungo il corso dei fiumi, avanzarono a cavallo attraversando terre incolte e abbandonate. I loro condottieri divennero tristemente famosi: l'esercito di Halfūn al-Barbarī volse le proprie scimitarre in Puglia creando a Bari il primo emirato arabo; le bande saracene di Sāwdan al-Māzari assaltarono a più riprese la città di Telesia, devastando la cinta muraria e interrompendo le condutture dell'acquedotto, per costringere la città a capitolare. Ovunque la feroce jihād islamica contro gli infedeli fu causa di desolazione e morte.
29,00

Il Vesuvio a tavola (la casa di Apicio: garum, hallec, flos, liquamen e altre colature), storie secolari di pesce pescato, lavorato e mangiato sulle coste di Sorrento e Amalfi, da Pompei a Salerno

Il Vesuvio a tavola (la casa di Apicio: garum, hallec, flos, liquamen e altre colature), storie secolari di pesce pescato, lavorato e mangiato sulle coste di Sorrento e Amalfi, da Pompei a Salerno

Arturo Bascetta, Annamaria Barbato

Libro: Libro rilegato

editore: ABE

anno edizione: 2024

pagine: 148

E' vero che le alici non sono un piatto ricco, ma è vero anche che non sono quello povero. In questo libro si percorrono sapori e saperi antichi, quelli della casa di Apicio, dove la colatura di Alici, ma non solo, la faceva da padrone. Bascetta e Barbato riscoprono come gli antichi abitanti della costa di Amalfi e Sorrento lavorassero l'Hallec, il liquamen, flos e soprattutto Garum. Poi ci sono le novelle, le storie in questo prezioso volumetto tutto a colori. Le salse erano e sono sulla tavola di ogni ceto sociale in tutti i tempi. Il Duca di Buonvicino fa da mentore e apre le pagine del volume con una sorta di calendario culinario, le piazzò per il pranzo di mercoledì 24 luglio 1839, quale giorno migliore per consumare una pietanza a base di acciughe: le alici mollicate in cartoccio. Così il Duca: 22, Lunedi. Maccheroni alla Siciliana; Entramée d'interiori di polli con fonghi e crostini; Arrosto di pollastri; Crema di fragole. 23, Martedi. Minestra verde; Lesso di vaccina con salsa di pomidoro; Braciolette arrostite con crostini; Calzoncini fritti d'amarene. 24, Mercoledi. Minestra di frutti semplici, con salsa di pomidoro. Alici mollicate in cartoccio; Fritto di calamari Crema di cannella. 25, Giovedi. Zuppa di pane composto; Granata al bagno-mario; Canestrine di pane farsite; Sfoglio di sciroppata. 26, Venerdi. Zuppa alla santè di magro; Ordura di braciolette di pesce; Palaje mollicate; Pizza rustica. 27, Sabato. Vermicelli con pomidoro; Pesce in umido; Arrosto di mozzarelle con crostini; Biscotti di gelsomino. 28, Domenica. Zuppa di pane di Spagna; Fregandò di vitella; Ordura di tagliolini; Gelo di mellone d'acqua. Sulle tecniche di conservazione gli fa invece eco il Corrado, col suo Credenziere del buon gusto, secondo il quale il credenziere deve saper anche preparare l'erbe, e le frutta in composta in aceto; poiché son cose del suo uffizio, e son a servirle nei tondini, nelle insalatine, e nelle caponate, per così, non solo per ornamento delle tavole, ma per stuzzicar anche ai commensali l'appetito. A suo dire, sulla tavola imbandita, la posizione delle alici salate è nella salsetta dei sottoli, cioè nella schiera accanto ai sottaceti: nasceva l'antipasto. Così il Credenziere: L'operazione delle composte in aceto è facile e comune, e pur si sa, che debba mettersi in aceto, cioé ortolizie come peparoni, petronciane, cetriuoli, cocozuoli, sparaci, pastinache, e baccelli di faggioli; ed in aceto si posson mettere anche le frutta, ma che non sieno però alla perfetta maturità. Son esse le pera, le mela, le percoche, le crisommole, le nocipersiche, l'uva, ed i meloni. E poiché le composte fatte a credenzieri debon servire per le mense dei grandi, per incontrare la piena soddisfazione di essi oltre il servirsi di buon gustoso aceto bianco mescolato con la quarta parte d'acqua salata, son da condirsi anche con erbe aromatiche come amenta, basilico, targone, maggiorana, timo, e qualche foglia di alloro, e cedro. Così possono esser di gusto. Se si voglion servire con salsa, dopo ridotti a fettoline, la salza sarà la seguente. Semi di finocchio, poc'aglio, amenta, capparini, e alici salati, tutto ben fino pesto, si scioglierà con olio, e poco aceto. E se a qualcuno piace il dolce vi si aggiungerà, nelle cose da pestarsi, un pezzo di cedro candito.
39,00

Abecedario di Santa Maria Maggiore, l'urbe vetere in terra della Uria. Ricerche di genealogia e toponomastica su S. Maria Capua Vetere (CE)

Abecedario di Santa Maria Maggiore, l'urbe vetere in terra della Uria. Ricerche di genealogia e toponomastica su S. Maria Capua Vetere (CE)

Arturo Bascetta

Libro: Libro rilegato

editore: ABE

anno edizione: 2024

pagine: 291

La Terra di Lavoro è una delle quattro parti in cui si divideva il Regno di Napoli, così chiamato dalla sua capitale, ch'è Napoli, oppure Sicilia di quà dal Faro: Terra di Lavoro, Abruzzo, Puglia e Calabria, a loro volta, si frazionavano in dodici Province. Poichè la parte di Terra di Lavoro coincideva con la Provincia di Campania era anche chiamata Campagna Felice, volgarmente detta Terra di Lavoro, ma non con capoluogo Caserta, come spesso si sente erroneamente ripetere, essendo solo la metropoli sede del Tribunale provinciale. Quindi la provincia di Terra di Lavoro, altrimenti detta Campania o Campagna, aveva per capoluogo la stessa capitale del Regno. Infatti la Terra di Lavoro ha Napoli per sua Capitale, città antichissima, residenza del Sovrano, e Metropoli del Regno dal tempo degli Angioini. Per quel che riguarda il Tribunale o Regia Udienza Provinciale si può aggiungere che è formato da un Preside Militare o Governatore dell'armi, un Caporuota e due Uditori, unitamente agli Avvocati del Regio Fisco, e de' Poveri e vi lavorano un Segretario ed un Mastrodatti con i Subalterni per le informazioni, un Maestro di Camera o Esattore de' Proventi Fiscali. Oltre il Tribunale, in ogni Provincia vi è il Percettore, o Tesoriere per gl'interessi del Regal Patrimonio. La Provincia di Terra di Lavoro tiene il solo Commessario togato detto della Campania, il quale giudica in tutta la provincia e ne regge il Tribunale militare in subordinazione all'Udienza Generale di Guerra, e Casa Reale. In Campania vi è altresì un Sovrintendente, il quale, da Caporuota del Sacro Regio Consiglio, rivede le cause qualora vengono richieste. Lasciata Roma, infatti, immettendosi sull'Appia, imperatore-re e vescovo, fecero ritorno a Capua Noba, cioè puntando dritto a Beroli, come si conferma nella Vita di Athan, in quanto, per dirla con Cilento, mossero per Veroli verso la Campania. Santa Maria quindi nasce come episcopio di Capua che, resosi comune indipendente, inglobò il territorio della Chiesa di S.Erasmo, di San Pietro ad Corpo e il luogo dei ruderi dell'anfiteatro definito Parlascio e volgarizzato in Parolascio, Barolascio, Varolasio, Barolesi o Baroli. Altro grande segnale viene dal canonico capuano Monaco, il quale, nel 1630, pubblicò il Sanctuarium Capuanum, uno studio in cui si attestava l'esistenza di un mosaico che ornava l'abside confermando che S.Maria era la Cattedrale di Capua chiamata Santa Maria Suricorum o Santa Maria Gratiarum oppure S.Maria Maior. Nel 1600, cioè, nell'abside della Chiesa di Santa Maria Maggiore di Capua si potevano ancora vedere la iscrizione del vescovo Simmaco, Sanctae Mariae Symmachvs Episcopvs, con cui dedicava alla Madonna il sottostante mosaico di vari motivi ornamentali di volatili fra le piante, e, guardando con attenzione, si scorgevano anche due topi vicino ad un vaso di fiori, sebbene potessero rappresentare dei conigli. Quelli che Alexii Symmachi Mazochii, nel suo Commentarii del 1744, chiama chiaramente sorices prope vas florum nell'abside della Chiesa dove campeggiava l'immagine della Madonna con Bambino nel mosaico distrutto l'anno prima, nel 1743, durante i lavori di ristrutturazione. Secondo la ricostruzione del Monaco, il mosaico era dell'anno 950, ai tempi del vescovo Simmaco (presente nei documenti dopo il 900), sebbene il Mazzocchi lo retrodatasse all'anno 431, indentificando l'alto prelato con uno dei due vescovi che assistettero alla morte di San Paolino da Nola, come si apprende da un passo di una epistola di Uranio, perchè non v'è nessun Simmaco nella cronologia dei vescovi capuani e perchè l'affresco aveva delle affinità con quello voluto da Sisto V nella chiesa romana di Santa Maria Maggiore in cui compaiono anche dei sorci.
49,00

Lettere impudiche di uno scomunicato: il noce delle streghe, il falsario di Montecalvo, il puttanone di piazza dell'Olmo e altre storie napoletane e beneventane di Nicolò Franco

Lettere impudiche di uno scomunicato: il noce delle streghe, il falsario di Montecalvo, il puttanone di piazza dell'Olmo e altre storie napoletane e beneventane di Nicolò Franco

Virgilio Iandiorio

Libro: Libro rilegato

editore: ABE

anno edizione: 2024

pagine: 128

In questi ultimi anni, l'interesse per Nicolò Franco, poeta e scrittore beneventano del XVI secolo, è andato crescendo per una serie di motivazioni. La sua vicenda umana, la condanna per oltraggio e la conseguente esecuzione capitale sono state oggetto di studio e di ricerche. Come si sa, Nicolò Franco, nato a Benevento nel 1515, dopo aver frequentato gli ambienti culturali di diverse città tra cui Napoli, Venezia, Mantova, Monferrato, Roma, finì i suoi giorni sul patibolo l'11 marzo 1570 in seguito a sentenza del Sant'Uffizio, per aver scritto pamphlet contro famiglie allora in auge nella Chiesa. I suoi libri,1 che per essere stati pubblicati quando fiorivano in Italia grandi poeti e scrittori, sono stati letti badando più agli accostamenti e ai confronti con essi, oggi ricevono la giusta attenzione di studiosi e lettori, dando il dovuto rilievo ad uno dei protagonisti della letteratura italiana della prima metà del Cinquecento. Per Eleonora Impieri è "Nicolò Franco un uomo di pensiero aperto alle novità intellettuali del suo tempo, degno esponente di una cultura alternativa in grado di ipotizzare e presagire l'immagine di una società felice. Non si tratta di una pura e semplice utopia, bensì di un sogno continuamente riproposto da un moralista non certo privo di contraddizioni e alieno ai compromessi, ma pur sempre vero e autentico in ogni sua dissacrante invettiva sorta dalla sua travagliata esistenza". Delle opere di Nicolò Franco l'Epistolario ha catturato il mio interesse, in particolare, per le sue annotazioni su personaggi e paesi della sua città, Benevento e Provincia di origine, il Principato Ulteriore. Benevento ha una peculiarità: appartenere allo Stato Pontificio e trovarsi, in un'enclave, nel territorio del Regno di Napoli. La città sannita fu l'unico centro urbano del Mezzogiorno che non cadde in potere dei Normanni, essendosi posta sotto la protezione della Chiesa.
44,00

Mavanarie beneventane. La tradizione orale nella valle del Noce delle streghe: Grotta Candida e altri racconti di Pannarano

Mavanarie beneventane. La tradizione orale nella valle del Noce delle streghe: Grotta Candida e altri racconti di Pannarano

Enzo Pacca

Libro: Libro rilegato

editore: ABE

anno edizione: 2024

pagine: 128

Anche le streghe beneventane vanno in vacanza. Per chi non lo sapesse viaggiano nella vicaria vescovile fra Pannarano, Pietrastornina e la vecchia Terranova di Arpaise alla ricerca del noce antico per i loro riti, lungo il fiume San Martino che sfocia nel Sabato ai Maccabei. Questo fantastico libro di Enzo Pacca, fra malefici e magia bianca, ripercorre la via della stregoneria beneventana partendo dal luogo magico dell'alto Partenio: Pentema Bianca di Pannarano.
29,00

Civitate Murcona: la contea yriana del castello alipergo fo covotate hurcona della contea di Caurato e le chiese di Santa Maria Vergine, S. Angelo, S. Marco, S. Pietro Apostolo, S. Giovanni, S. Lorenzo martire fortissimo, S. Luca

Civitate Murcona: la contea yriana del castello alipergo fo covotate hurcona della contea di Caurato e le chiese di Santa Maria Vergine, S. Angelo, S. Marco, S. Pietro Apostolo, S. Giovanni, S. Lorenzo martire fortissimo, S. Luca

Arturo Bascetta

Libro: Libro in brossura

editore: ABE

anno edizione: 2024

pagine: 128

Castello Alipergo di Civitate Caurato non fu né Buonalbergo e né Corato, per lo stesso motivo che Morcone non è Civitate Murcona e Ariano Irpino (ex Ariano degli Arianesi di Puglia) non è l'antico e imprendibile Castello di Riano degli Ariani di Yriano, fondata a suo tempo dai Salernitani di Arechi II, Principe vicario di Carlo Magno in veste imperiale d'Oriente, sulle terre dei Beneventani. Quindi le rifondazioni cattoliche delle terre feudali inglobate nelle diocesi non si possono confondere con le precedenti città di rito misto o i castelli longo/normanni siti sul finire della via Francigena, fra le lapidi troiane disseminate lungo il fiume Candelaro del Gargano. Da questo testo, che è una raccolta di documenti posti al confronto dal veterano autore, si evince come i popoli italici, fuggiti e migrati dall'antica Teate, avessero fondato e abitato l'Apulia di Teano Apulo, dopo i disordini del 950 dopo Cristo. Da qui la prima fondazione di Caurato, sul cui territorio nacque il Castello di Alipergo, di cui si fece padrone la stirpe degli Altavilla quando era capeggiata da Roberto il Guiscardo, sposandone l'erede Alberada, per poi ripudiarla per ampliare la conquista slava del suo esercito di Bulgari che l'adoravano come Re di Rama. Ne seguirono gli scontri ora con il Papa, ora con l'Imperatore e il Castello di Alipergo passò di padre in figlio, ora con un dominatore, ora con l'altro, sfidandosi per quasi un secolo la stirpe dei dell'Aquila chiamati Loritello, siciliani di Gaeta e Capua, con la stirpe degli Altavilla, siciliani di Palermo, contro i Sanseverino del Tricarico di Caserta, tutti successivi, e successori, dei primi Normanni insediati a Capua dai Salernitani della stirpe dei Franchi Drengot, seguiti ai Longobardi di Arechi II, vicario di Carlo Magno della stirpe dei Capetingi. Il viaggio si conclude con la riconquista dei feudi diocesani, scippati a Montecassino e donati all'abbazia Sofiana della nuova Benevento, dopo la distruzione della capitale (di rito misto) del Regno di Puglia, chiamata Urbe Baroli, surclassata dall'arcidiocesi di Trani, indi da Barletta, divenuta vicaria dell'Oriente, con la nascita del Regno di Gerusalemme, che sancì il definitivo crollo di Costantinopoli e della sua vicaria italica di Urbe Regina, antica Hea Apula, dell'Apulia di Canosa.
35,00

Rudimenti di storiografia longobarda: il ducato di Napoli nella toponomastica

Rudimenti di storiografia longobarda: il ducato di Napoli nella toponomastica

Antonio Vito Boccia, Gennaro De Crescenzo

Libro: Libro rilegato

editore: ABE

anno edizione: 2024

pagine: 128

Dal punto di vista politico-istituzionale al duca spettavano compiti relativi agli aspetti militari e fiscali, al vescovo quelli relativi agli aspetti liturgici e quelli relativi alle strutture ecclesiastiche e ai monaci e alle monache quelli relativi all'assistenza, alla carità e alla organizzazione rurale alla base dell'economia del tempo. Di primo piano, allora, il ruolo del monachesimo locale che, attraverso i suoi enti di diverse dimensioni, gestiva un potere importante una volta decaduti gli ospedali municipali e "laici" fin dalla metà del V secolo. Anche in questo aspetto emerge una caratteristica che rappresenta forse un "unicum" tra le città del tempo: Napoli, pur nella sua autonomia rispetto a Bisanzio, operò una fusione tra la cultura greca delle sue radici e quella latina. Erano diverse e consistenti, del resto, le comunità ellenofone in tutta la Campania ed era diffuso dappertutto un senso di rispetto e ospitalità verso queste persone che richiamavano, per tanti aspetti, elementi dell'antica Magna Grecia. In questo senso pesava la consolidata tradizione dei traduttori presso gli Scriptoria napoletani e anche quella delle letture e dei canti in greco nelle cerimonie più solenni (uso presente solo a Roma a quel tempo) in un bilinguismo che conteneva implicazioni originali, articolate e affascinanti. Sorprende, come detto in precedenza, il mancato approfondimento di quello che alcuni studiosi hanno giustamente definito "particolarismo napoletano", un aspetto sinonimo di una dinamicità e di una originalità con pochi precedenti almeno in Italia. Tra altre fonti, la Cronaca di Partenope sostiene la tesi delle sei chiese greche presenti in città e si registra anche una singolare tradizione: la mattina del sabato santo, i primiceri/responsabili di queste chiese erano tenuti a recarsi al duomo per cantare o leggere sei lezioni greche e, a Pasqua, assistere il Cimiliarca (ministro di culto) e cantare il Credo in lingua greca e secondo il rito dei Greci con la riproduzione di alcuni atti comici o facezie dette in latino volgare "squarastase". Napoli fu capace, così, di diventare e restare un simbolo della grecità ma una grecità letta, vissuta e realizzata attraverso la latinità con la creazione di nuovi modelli istituzionali, liturgici, linguistici e politici. In questo rivestirono una grande importanza le scelte "autonomistiche" e accentratrici da parte dei duchi, forti di un senso di appartenenza di grande rilievo culturale. E questo discorso si lega profondamente ai fattori locali "identitari" che spesso vengono richiamati (in qualche caso per condannarli o per negarli) anche in tempi recenti. Napoli, allora, come capitale culturale e, in seguito, politica di un intero territorio destinato, nei secoli, ad espandere i suoi confini ben oltre quelli della "città-stato-signoria" ducale. La storia del ducato, allora, diventa paradigmatica e anche coerente con la storia di una identità che parte dalle radici greche, passa per quelle latine e diventa, poi, tra i Normanni e i Borbone, la base di una "nazione napoletana" che spesso ancora oggi fornisce spunti per dibattiti vivaci e utili. Perciò ci pare molto significativo un documento nel quale il duca Sergio IV concede diversi beni e privilegi al monastero di San Gregorio «affinché le Sacre Vergini potessero pregare per i loro donatori e per la salute della patria». Questo testo intende rappresentare un primo tentativo di ricostruzione complessiva dell'ormai dimenticato periodo alto-medievale, vissuto dalla città di Napoli. Forse per le obiettive difficoltà di reperire fonti, noi oggi ci troviamo di fronte a un autentico paradosso: conosciamo di fatti la storia della Napoli greca e di quella romana, ma sul cosiddetto "ducato di Napoli" (definizione che utilizzeremo solo per esigenze di sintesi e semplificazione) - peraltro un periodo complesso e lungo oltre seicento anni (VI-XII secolo) - le ricerche e gli approfondimenti sono sempre stati limitatissimi.
44,00

Meticcia. Collage di poesie in dialetto beneventano di Benevento e non

Meticcia. Collage di poesie in dialetto beneventano di Benevento e non

Grazia Luongo

Libro: Libro in brossura

editore: ABE

anno edizione: 2024

pagine: 80

Grazia Luongo e' una poetessa autodidatta, La sua poesia ha una scrittura particolare, non convenzionale anche nella scrittura dialetto Beneventano, ma incisiva. La sua Anima tormentata scuote le viscere, cosí come la sua poesia scuote il lettore fino all' ultimo goccio di sangue. Non esiste nelle sue rime una via di mezzo, perché il punto di partenza è sempre il dolore profondo, e dove c'è pace è perchè c'è stata una tempesta. I suoi versi sono un poliedro di sofferenza, amarezza, angoscia, e il vuoto che racconta, non è vuoto dell'anima, ma profondità, ricerca, risalita. La realtà osservata, forse vissuta, la fa annegare, ma lo sguardo della poetessa è sempre rivolto al cielo, e quando è malinconica, alla Luna. La pervade un profondo senso di giustizia e, le sue parole, diventano combattimento, denuncia. Una guerra le pulsa dentro come fuoco. Grazia Luongo però quando guarda ha gli occhi della meraviglia, di una bambina che serva dentro la speranza. Non fa sconti ne a se stessa, ne al mondo, e in questa crudezza dell'esistenza, la parola poetica diventa necessaria, salvifica, perché cicatrizza ferite, carezza l'anima. I temi che affronta sono tanti, come tante sono le sfaccettature della vita e delle sue passioni. Come il Teatro, a cui dedica da sempre liriche potenti. Ma anche le 'Donne', che con il loro fare, portano "ncuoll" Addosso il Mondo. Donne aggredite, umiliate, dileggiate, ma capaci di futuro. Donna Regina di cuori; forte debole birichina. Grazia Luongo dice: 'Siamo fragili, nudi vulnerabili', e in questa dimensione, che è accettazione della debolezza umana, e grata alla vita. Ha cuore e passione, e tutto tiene stretto a se in un abbraccio che non molla. Vuole essere protagonista senza preconcetti, dandosi una possibilità. E così che diventa "Grazia dei mille volti", e del suo amato teatro poesie intime, ma anche grandi temi come la Guerra che passa sotto i nostri occhi noncuranti, poesie come pensieri in divenire, o con il ritmo di una tammorriata, o ancora dolci come il suono della parola 'Mamma', poesie fatte di "Ricordanza" e di un grido disperato forza. C'è sta ancora tiemp!
15,00

L'Appennino napoletano in tavola, il ricettario dei piatti e delle taverne antiche

L'Appennino napoletano in tavola, il ricettario dei piatti e delle taverne antiche

Arturo Bascetta, Gennaro Scognamiglio

Libro: Libro rilegato

editore: ABE

anno edizione: 2024

pagine: 128

Un mago dalla cui testa escono a sorpresa sempre idee nuove. Così può definirsi Arturo Bascetta, attento studioso della storia e delle leggende della Campania, che riesce ogni volta a meravigliare con proposte che lasciano il segno per la loro validità e modernità. Cent'anni di storia delle trattorie non è una trattazione qualsiasi dato che valorizza, tutela, conserva, rispetta quella parte delle tradizioni legate alla gastronomia, al buon mangiare, al bere bene. È una rivisitazione culturale ed attuale in un momento in cui si è alla ricerca di tutto ciò che è genuino ed autentico, di quel retaggio della gens irpina che ha segnato il passato anche recente. Le trattorie hanno goduto, presso di noi, di significati che vanno molto al di là del semplice ristoro. In particolare di valori di socialità e di libertà dal lavoro duro ed alienante, dalle situazioni di disagio, da una vita di stenti. E, ad un certo punto, luogo di incontro dove a tavola, in un ambiente sereno e rilassato, dimenticare guai e vita grama. Parafrasando quanto dice Cesare Pavese nel "mestiere di vivere" si può anche affermare che la trattoria è stata "una difesa dalle offese della vita". A questo ha pensato Arturo Bascetta. Ma anche agli antichi sapori, alla esistenza calma di un tempo, alla dimensione davvero "umana" di vita dei nostri avi. Un pensiero al passato ed il rifiuto, sottinteso, di un mondo frenetico, in continua corsa, di tutti in lotta contro tutti. Di queste trattorie, di queste presenze, ombre di un passato che si vorrebbe ancora presente, esistono poche tracce. Da qui una ricerca che porta il segno di riscoperta di valori di cui si sente la mancanza. Oggi il ristoro viene trovato nel "ristorante", freddo e asettico, ove si consuma il solo rito del cibo. Pochi sono i locali che hanno conservato l'atmosfera magica della vecchia trattoria, intesa quasi come "una seconda casa" ove mangiare e bere in armonia con gli amici o festeggiare le ricorrenze più care. Si assiste, così, alla proposta di menù assurdi e commerciali, del tutto lontani dalla cucina tradizionale o una triste parodia di essa. E che dire degli accostamenti fra il cibo e il vino con la totale ignoranza di quanta pericolosità all'olfatto e al gusto ne può derivare dalla scelta di un vino non adatto? Vino che è stato compagno da sempre del cibo diventando, poco alla volta, una bevanda da assaporare con gusto, riconoscendovi aromi, profumi, bouquet e la capacità di chi ha saputo suscitarli, mettendo a frutto le qualità naturali dell'uva. William Shakespeare, nell'Otello, affermava che "il buon vino è giovane creatura se ne cogli lo spirito". Ed oggi la tendenza è di cogliere questo spirito, bevendo meno, con più gusto e qualità. Ma dove? Non certo in quei ristoranti dove la "carta dei vini" troppo spesso è una cosa oscura e sconosciuta, dove si consumano "vini della casa" pessimi e serviti ancor peggio.
44,00

Delitto a Itri sulla via di Napoli. Zuppa al veleno per il cardinale De' Medici fermato dal Viceré Don Pedro de Toledo per presunto ordine di Alessandro De' Medici Duca di Firenze dopo il suo tentato omicidio che coinvolse il Cardinale Cybo

Delitto a Itri sulla via di Napoli. Zuppa al veleno per il cardinale De' Medici fermato dal Viceré Don Pedro de Toledo per presunto ordine di Alessandro De' Medici Duca di Firenze dopo il suo tentato omicidio che coinvolse il Cardinale Cybo

Sabato Cuttrera, Arturo Bascetta

Libro: Libro rilegato

editore: ABE

anno edizione: 2024

pagine: 148

I delitti del Cinquecento sono infiniti. Storie d'amore e di tradimenti, politici e familiari: i gialli storici si moltiplicano solo a ripescarli dal cilindro dei secoli. È il sangue di amici e parenti trafitti che ribolle, rivoltando sottosopra gli stati della povera Italia, dalla Duchessa d'Amalfi, uccisa a Venezia, agli amori all'acqua tofana. Costumi leggiadri che colpiscono Spaccanapoli e Piombino, con gli assassinii del secolo, del Principe Appiani e della Duchessa Maria d'Avalos, per finire con Bianca Cappello a Firenze e con il Principe e la Principessa di Salerno, nelle mire del Viceré di Napoli. Il nostro prologo sulle storie insanguinate alimenta la collana sulle storie insanguinate dal potere degli uomini e giunge al Cardinale Ippolito de' Medici, giovane rampante, abbandonato da Carlo V, pronto a preferirgli il cugino Alessandro, per Duca e per genero, e a lasciarlo morire lontano dalla Patria, in odore di rivolta e avvelenato fra gli strazi. Una pena durata dieci lunghi giorni, mentre mezza Firenze si recava a Napoli per trattare con quel Re e Imperatore. Eppure Ippolito, stando al resumé storico, fu Cardinale scelto dalla sua stessa Casata, fatta tornare a Firenze per riconquista imperiale, e perciò pronto a rivendicare il posto di Duca, come erede più anziano, osannato a gran voce dai fuoriusciti e dalle famiglie più in vista. Né gli bastarono la cattedra di Monreale, la corte imperiale, i viaggi e l'essere paladino del partito di opposizione: lui voleva essere Duca. Ecco allora che la congiura si allarga e prende piede in suo nome, lasciando scoprire al vero Duca, Alessandro de' Medici, il disegno criminoso del parente stretto, pronto a farlo uccidere. Ora un filtro d'amore, ma non è veleno; ora una tregua per le nozze di Caterina in Francia, ma non è la pace; ora l'apertura in famiglia; ma non è il dialogo. Da qui la decisione di Ippolito di affrontare a viso aperto l'Imperatore, recandosi da Roma a Napoli, pronto a guastargli la festa della vittoria riportata a Tunisi. Sarà il suo ultimo viaggio, finito a Itri, proprio nei giorni in cui si annunciano le nozze napoletane fra la figlia di Carlo V e il Duca. A dargli la zuppa avvelenata fu il suo staffiere, frate Andrea, per ordine partito forse dal capitano fiorentino Vitelli e con l'avallo del Viceré di Napoli, Don Pedro di Toledo, prossimo a genero di Alessandro. Cinque giorni di agonìa in cui si processa lo scalco, il quale confessa, poi ritratta, poi viene arrestato e infine pagato e liberato in quel di Firenze. Questo mentre il povero Cardinale si spegne e finisce i suoi giorni più atroci, che ormai assommano a dieci. Il mattino dopo è proprio il Viceré di Napoli, l'uomo che bloccò il prelato in partenza per la Sicilia, prima ancor che per Napoli, per raggiungere l'Imperatore. Fu infatti Don Pedro a ignorare i verbali di condanna e la confessione dello staffiere, annullando ulteriori torture e l'esecuzione capitale, e infine a concedere la grazia al colpevole. E fu sempre lui, avvisato della morte di Ippolito a darne annuncio di suo pugno, al suo Re, per poi ricordargli, nella stessa missiva, la promozione per il figlio. Una lunga lettera del Cardinale, destinata al medesimo Carlo V e forse a lui mai giunta, chiude questo libello di intrighi, sconosciuti ai più, e apre la mente al lettore sul post Rinascimento. Sabato Cuttrera
44,00

Venticano Campanariello. E i 29 oppidi papalini rifondati nel 1348 nella Valle Beneventana futuro Principato Ultra di Benevento

Venticano Campanariello. E i 29 oppidi papalini rifondati nel 1348 nella Valle Beneventana futuro Principato Ultra di Benevento

Claudio Rovito, Arturo Bascetta

Libro: Libro in brossura

editore: ABE

anno edizione: 2024

pagine: 128

30 VENTICANO CAMPANARIELLO. E i 29 oppidi papalini rifondati nel 1348.
21,00

Abecedario di Montefusco: tutti gli abitanti e i luoghi del 1700 nella città del prorex Consalvo di Cordova, sede del giustizierato spagnolo del principato ultra, divenuta provincia del regno di Napoli

Abecedario di Montefusco: tutti gli abitanti e i luoghi del 1700 nella città del prorex Consalvo di Cordova, sede del giustizierato spagnolo del principato ultra, divenuta provincia del regno di Napoli

Arturo Bascetta

Libro: Libro rilegato

editore: ABE

anno edizione: 2024

pagine: 118

Nel 1599, come da Concilio provinciale, l'arcivescovo di Benevento ottenne la facoltà di riconferire le insigne badiali mitrate dentro lo stesso Regno di Napoli. La provincia ecclesiastica aveva 18 vescovi su 25, sebbene fossero stati 32, perché in antico comprendeva tutta la Puglia ed era chiamata Metropoli Campania: latissima est ejus Provincia decem et octo Episcoporum, licet non multum sit temporis, cum viginti quinque esset, ut in valvis aereis ipsius Ecclesiae et nomina Episcoporum, et effigies monstrant. Olim vero triginta due habuise, et Metropolim Campaniae, totiusque Apuliae appellatam esse antiquissima ipsius documenta testantur. L'arcidiacono Nicastro confermò l'uso di mitra e pastorale alle 12 abbazie antiche recensite: usum Mitrae habent; nempe S. Mariae de Strata, S. Mariae de Fasolis, S. Mariae de Eremitorio, S. Petri de Planisio, S. Laurentii de Apicio, S. Maria a Guglieto (e fin quindi ne elenca 6), in presentiarum Collegio beneventano Societatis Jesu unitae, S. Mariae de Decorata, S. Maria de Campobasso, S. Maria de Ferraria prope Sabinianum, S.Mariae de Venticano Bibliothecae Vaticanae unitae, et S. Silvestri in Oppido S. Angeli ad Scalam (altre 5). V'erano altre 4 abbazie et S[anta] R[omana] E[cclesia] cardinalibus commendatur, cioè che risultavano commisariate perché sono finite in Commenda: - S. Sophiae Beneventi, -S. Joannis in luco Mazzocca, -S. Maria de Cripta in Oppido Vitulani, -et S. Fortunati in oppido Paulisiorum. Erano poi le 3 Commende Equitum (prefettizie): - S. Joannis Hierosolymitani Beneventi, - Montisfusci, - et in Oppido Montisherculis enumerantur. E ve n'erano altresì 2 esistenti in Benevento: - Collegiatas Ecclesias S. Bartolomae praecipui Patroni, - et S. Spiritus. Furono invece 6 quelle costruite o da costruire in Diocesi: - nempe S. Joanuis in Balneo praefatae Civitatis Montifusci, - SS. Annunciationis Altavillae, - SS. Assumtionis Montiscalvi, - S. Salvatoris Morconi, - S. Bartholomei Padulii, - et SS. Trinitatis in Oppido Vitulani anno 1716 eretta. Nella nota seguono i dati sui 178 luoghi, compresi quelli con le grancìe ex dipendenze delle abbazie beneventane, così come descritto negli atti dei Concili. Si tratta di Terre, Casali e feudi compresi in due province del Regno: - Montefusco (in Diocesi di Benevento dipendente dall'Arcidiocesi Metropolitana di Benevento) - Lucera (Diocesi dipendente dalla Metropolia beneventana) .1 Torrioni ricadde nella nuova provincia di Montefusco. Partendo da queste considerazioni ci siamo spinti a ricostruire la storia, luogo per luogo, persona per persona, quindi elementi certi per ricostruire l'albero genealogico di tutte le famiglie di Montefusco, città del Principato Ultra nel 1700.
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