Libri di Annamaria Barbato
Abecedario di Castellammare al Volturno. Genealogia, cognomi e toponomastica nella storia di Castelvolturno
Annamaria Barbato, Arturo Bascetta
Libro: Libro rilegato
editore: ABE
anno edizione: 2025
pagine: 268
Un microscopico borgo medioevale di braccianti e massari. La Castel Voltuno del 1700 non è una città. Anzi, a dire il vero, si presenta come un piccolo borgo. Così lo si deve descrivere sfogliando, pagina dopo pagina, il Catasto Onciario dell'allora Castello a Mare del Volturno. Di esso si trascrivono fedelmente le notizie essenziali con l'elenco delle famiglie numerate e riordinate per cognome del capofamiglia, anziché per nome, come nell'originale. Non siamo a grandi livelli urbanistici in quanto la nuova Via Nazionale non è stata ancora costruita e il commercio maggiore è dovuto solo al via vai verso i santuari. Ma sfogliando le pagine concentrate in quest'Appendice, si ha un'idea più concreta di cosa sia un paese del 1700, con la sua piazza, le prime strade ufficiali, la parrocchia e le altre chiese intorno a cui si riuniva la popolazione. Tutto registrato e trascritto dai deputati et estimatori che hanno redatto il Catasto consultato nella copia microfilmata a partire dal frontespizio, quando compare la scritta ufficiale: Catasto seu Onciario dell'Unità di Castello a Mare del Volturno in Prova di Terra di Lavoro. Vale a dire il libro del Catasto oppure detto Onciario relativo all'Università comune del paese di Castello, meglio definito nel luogo del Mare del Volturno, nella provincia di Terra di Lavoro. È così possibile conoscere i nomi di tutti i capifamiglia trascritti in ordine alfabetico di cognome, con relativo mestiere e composizione del nucleo familiare, seguito dal parametro dell'oncia per stabilire l'esatto valore del reddito imponibile. Seguono le rubriche delle Vedove, Vergini e Bizzoche, dei cittadini e delle cittadine assenti, dei sacerdoti reverendi, cioè dei cittadini secolari, Chiese e Luoghi pii. Seguono le ultime rubriche catastali con i Forestieri abitanti, e i Forestieri non abitanti, cioè Bonatenenti Esteri, con gli Ecclesiastici Bonatenenti Esteri e le relative chiese straniere che possedevano dipendenze e beni sul territorio. Dopo l'elenco a parte che estrapola i beni della Parrocchia, tassati diversamente in base al Concordato con la Chiesa, il tutto, viene registrato, confrontato e assommato nell'operazione di sommatoria definitiva delle tasse, che va sotto il nome di Collettiva delle once, per stabilire l'esatto importo della dichiarazione totale del reddito imponibile relativo all'Università comune di Castello. Sfogliando queste pagine, si ha la certezza che siamo lontani dai grandi industrianti, dai fabbricatore di panni ai cavapietre mariani, anche poveri, come quelli incontrati a San Benedetto di Caserta. Non compaiono neppure sbirri, come a Toro di Caserta, accosto ad un'altra figura, quella del satellite, una sorta di spia, addetto ai rapporti con la polizia. Quando anni dopo assisteremo alle ribellioni e all'invasione del Regno Borbonico, specie nel decennio seguito ai fatti del 1799, la figura del satellite sarà una delle protagoniste delle rivolte antiliberali che sfoceranno nel brigantaggio, allorquando i paesi riconquistati dagli squadroni borbonici, cioè dalla polizia militare, si dicevano presi dai satelliti che ebbero il loro rifugio segreto in Mugnano, dove si riuniranno con il deposto intendente di P.U., Mirabelli, per progettare i loro 'golpe'. È più facile reggere le redini e spadroneggiare in un piccolo casale con pochi ricchi di un certo spessore. Hanno tanto di servi propriamente detti, diremmo quelli da comando o servitori, intesi come camerieri, e anche servi di livrea, cioè in divisa, come Antonio Maturo, servente in livrea di Crotone. Spesso la divisa non era neppure di loro proprietà e veniva conservata, o anche indossata, direttamente dal signore, come nel caso di Don Francesco Grillo di Oppido Mamertino, il quale, fra i suoi beni, possedeva una lebrea di servitore ed altra di volante. Sarà pure piccola Castel Volturno, ma lavorano tutti. Del resto non vi sono neppure figli adottivi.
Trattorie, piatti e ricette antiche dell'Irpinia. Il Vesuvio a tavola sulla via delle Puglie. Volume Vol. 2
Arturo Bascetta, Annamaria Barbato
Libro: Libro rilegato
editore: ABE
anno edizione: 2025
pagine: 238
È un libro incredibile, che segue la prima edizione, divenuta icona in quanto finalista mondiale a rappresentare l'Italia delle ricette antiche dei Romani, alla mondiale del più famoso concorso mondiale. Sono storie, volti di albergatori, trattorie, nomi e cognomi, prodotti antichi della terra e ricette vere, trascritte, cucinate, assaggiate e fotografate. La possibilità di acquistare una farina migliore o un tipo di semola particolare casomai prodotto nel paese accanto e non nel proprio sono alla base della rinnovata tradizione che si sposta lungo le vie di comunicazione con Foggia, con Napoli, con Salerno. Nel circondario avellinese, più propriamente, erano Sabino Barbato, Modestino Barbato, Pasquale Di Nardo, Saverio Falcone, Giuseppe Galasso, Francesco Guarino e Sabato Urciuoli a far macinare e commerciare farina di grani teneri burrattata, pane e biscotti di prima e media qualità, pasta di farina, farina di grani teneri con crusca, pasta di semola, semola burrattata e farina di grano duro e secoma con crusca. La farina partiva poi per Napoli, Salerno, Benevento, per i paesi della provincia dove veniva utilizzata dalle prime botteghe della pasta, sparse qua e là per la strada principale di Avellino e da trattorie e bettole che cominciavano ad aprire i battenti anche nei paesi. Era facile riconoscerle in quanto vi si vedevano donne lavorare la pasta a mano con i ferretti fra le mani e le tavole tonde sulle ginocchia. Ricciolilli, Ricci alla foretana, Cannellini, Cannolicchioni, Coccetelle, Recchie di prete, Gnocchi, Laganelle e Lasagne erano le specialità delle piccole poteche di città. Ad Avellino erano conosciutissime ed apprezzate quelle di Sabino Barbato al Corso, di Consolato Capaldo nel Larghetto della Dogana, di Filomeno De Stefano in via Due Principati, di Pasquale Di Nardo a Porta Napoli, di Giuseppe Galasso a Piazza Della Libertà e di Sabato Urciuolo in Piazza Centrale. Verso la fine del 1880, più che di botteghe vere e proprie, assistiamo alla nascita diretta di trattorie, osterie e bettole. Una volta pronta, la pasta veniva asciugata davanti ai portoni, ma anche sui davanzali delle case cosicché, come oggi si spandono i panni - per dirla alla Valagara - ieri si spandevano le tagliatelle sulle canne appese alle finestre. La buonissima pasta fatta in casa prendeva soprattutto la strada della città e quella che restava era smerciata a Napoli e a Salerno nei giorni di festa. La maggior parte della pasta di cui abbiamo notizia si produceva ad Avellino in quanto era destinata a Piazza Della Libertà: alla cucina dell'Hotel Centrale di Galasso e al ristorante Della Sirena di Domenico Cristiano. Più di una erano le trattorie frequentate anche dai forestieri come Giardini d'Inverno di Domenico Nevola a via Clausura e quelle di Generoso Tino e Generoso Cucciniello in via Beneventana. La lista continua con Stanislao Festa in via Luigi Amabile, Antonio Carulli in via della Sapienza, Giuseppe Coppola a piazza Garibaldi, Nicola Cerulli al Corso. Per finire con la Trattoria del Genio in via Trinità e il ristorante Del Barone di Generoso Rosapane in via Costantinopoli. Su queste basi abbiamo la nascita di vere e proprie trattorie e la loro espansione lungo le vie principali della città e dei paesi ai piedi della montagna del Partenio dove svettano il monastero verginiano di Mamma Schiavona, quello camaldolese dell'Incoronata, quello di San Silvestro, quello di Madonna Stella. Sul versante pugliese, invece, qualche locanda nacque fra Nusco e Sant'Angelo dei Lombardi verso San Salvatore al Goleto e Sant'Amato; a Caposele, sulla via per la Madonna di Materdomini; eppoi a Montemarano per San Giovanni, a Montoro per l'Incoronata e così via. Il libro si arricchisce dei nomi di tutti i bettolieri e albergatori e baristi e trattori di tutti i paesi della provincia di Avellino, con le foto a colori di molte ricette antiche raccontate dai nonni e cucinate ancora oggi.
Il Vesuvio a tavola (la casa di Apicio: garum, hallec, flos, liquamen e altre colature), storie secolari di pesce pescato, lavorato e mangiato sulle coste di Sorrento e Amalfi, da Pompei a Salerno
Arturo Bascetta, Annamaria Barbato
Libro: Libro rilegato
editore: ABE
anno edizione: 2024
pagine: 148
E' vero che le alici non sono un piatto ricco, ma è vero anche che non sono quello povero. In questo libro si percorrono sapori e saperi antichi, quelli della casa di Apicio, dove la colatura di Alici, ma non solo, la faceva da padrone. Bascetta e Barbato riscoprono come gli antichi abitanti della costa di Amalfi e Sorrento lavorassero l'Hallec, il liquamen, flos e soprattutto Garum. Poi ci sono le novelle, le storie in questo prezioso volumetto tutto a colori. Le salse erano e sono sulla tavola di ogni ceto sociale in tutti i tempi. Il Duca di Buonvicino fa da mentore e apre le pagine del volume con una sorta di calendario culinario, le piazzò per il pranzo di mercoledì 24 luglio 1839, quale giorno migliore per consumare una pietanza a base di acciughe: le alici mollicate in cartoccio. Così il Duca: 22, Lunedi. Maccheroni alla Siciliana; Entramée d'interiori di polli con fonghi e crostini; Arrosto di pollastri; Crema di fragole. 23, Martedi. Minestra verde; Lesso di vaccina con salsa di pomidoro; Braciolette arrostite con crostini; Calzoncini fritti d'amarene. 24, Mercoledi. Minestra di frutti semplici, con salsa di pomidoro. Alici mollicate in cartoccio; Fritto di calamari Crema di cannella. 25, Giovedi. Zuppa di pane composto; Granata al bagno-mario; Canestrine di pane farsite; Sfoglio di sciroppata. 26, Venerdi. Zuppa alla santè di magro; Ordura di braciolette di pesce; Palaje mollicate; Pizza rustica. 27, Sabato. Vermicelli con pomidoro; Pesce in umido; Arrosto di mozzarelle con crostini; Biscotti di gelsomino. 28, Domenica. Zuppa di pane di Spagna; Fregandò di vitella; Ordura di tagliolini; Gelo di mellone d'acqua. Sulle tecniche di conservazione gli fa invece eco il Corrado, col suo Credenziere del buon gusto, secondo il quale il credenziere deve saper anche preparare l'erbe, e le frutta in composta in aceto; poiché son cose del suo uffizio, e son a servirle nei tondini, nelle insalatine, e nelle caponate, per così, non solo per ornamento delle tavole, ma per stuzzicar anche ai commensali l'appetito. A suo dire, sulla tavola imbandita, la posizione delle alici salate è nella salsetta dei sottoli, cioè nella schiera accanto ai sottaceti: nasceva l'antipasto. Così il Credenziere: L'operazione delle composte in aceto è facile e comune, e pur si sa, che debba mettersi in aceto, cioé ortolizie come peparoni, petronciane, cetriuoli, cocozuoli, sparaci, pastinache, e baccelli di faggioli; ed in aceto si posson mettere anche le frutta, ma che non sieno però alla perfetta maturità. Son esse le pera, le mela, le percoche, le crisommole, le nocipersiche, l'uva, ed i meloni. E poiché le composte fatte a credenzieri debon servire per le mense dei grandi, per incontrare la piena soddisfazione di essi oltre il servirsi di buon gustoso aceto bianco mescolato con la quarta parte d'acqua salata, son da condirsi anche con erbe aromatiche come amenta, basilico, targone, maggiorana, timo, e qualche foglia di alloro, e cedro. Così possono esser di gusto. Se si voglion servire con salsa, dopo ridotti a fettoline, la salza sarà la seguente. Semi di finocchio, poc'aglio, amenta, capparini, e alici salati, tutto ben fino pesto, si scioglierà con olio, e poco aceto. E se a qualcuno piace il dolce vi si aggiungerà, nelle cose da pestarsi, un pezzo di cedro candito.

