Dopo aver finito di leggere “ Pezzi di cielo” di Maria Cantone, mi sono chiesto più volte come potesse essere chiamato questo suo lavoro intessuto di ricordi. Raccolta di suoni che diventano poesia.... di pensieri in libertà.....di riflessioni...di spunti ed inviti a guardare oltre noi stessi, là dove solo l'amore riesce ad arrivare?
Io credo che ciascuna di queste sue pagine sia tutte queste cose insieme. A volte, i ricordi si fanno taglienti come lame perchè rimandano a ferite che non possono essere rimarginate neppure col trascorre del tempo; altre volte, invece, soprattutto quando ricorda il padre, sono morbidi ed avvolgenti come coperte che riscaldano il cuore. Legati gli uni agli altri da un unico filo. Perchè quello che siamo oggi lo dobbiamo non solo alle esperienze maturate al sole dell'infanzia di cui abbiamo perso memoria, ma anche, e forse soprattutto, al ricordo che di quelle esperienze ci portiamo dentro come tela che ci sostiene. Perchè le esperienze di cui, per motivi diversi, non conserviamo il ricordo, anche se ci hanno segnato profondamente, difficilmente ci aiutano a capire quanta strada abbiamo fatto, quello che siamo diventati “oggi e qui”, per accoglierci o punirci, per cercare di farci migliori, condotti per mano da un bisogno che per la scrittrice è fondamentale: il bisogno d'amore. L'amore che riusciamo a dare, ma anche quello che vorremmo ricevere dagli altri “per cui abbiamo vissuto in silenzio” e che, in assenza, ci manca fino a farci diventare “dipendenti”, con tutto il dolore che c'è in questa “dipendenza” che non ci consente di tracciare perimetri, ma solo di subirli, permettendo così a questi “altri” “di dirci che ci amano”, mentre, in realtà, “ci rubano la vita e ci abbandonano, andandosene poi per le vie del mondo a dispensare altro dolore”. E noi, “nonostante ciò, non riusciamo ad augurare loro il male” proprio perchè li abbiamo amati.
Un percorso di scrittura, allora, che, come ha detto qualcuno in altro contesto, è come un respiro lieve della fatica dell'uomo, dei suoi ritmi, delle sue paure, delle sue angosce. Ma anche delle sue speranze e dei suoi “pezzi di cielo”.
Aldo Falzone
Permettiamo agli altri di rubarci la vita, per un bisogno d’amore che è dipendenza, permettiamo a loro di ferirci, di ucciderci, con le parole e con i fatti. Usciamo distrutti da questi avvenimenti, mentre loro, i carnefici, godono una vita piena, spensierata, ricca di tutto ciò che ci hanno rubato, e hanno il coraggio delinquente di dirci che ci amano; ma noi soltanto li abbiamo amati, coccolati, perdonati, accolti. Questi “altri”, per cui abbiamo vissuto in silenzio, che hanno dato senso ai nostri pensieri e a i nostri atti, ci abbandonano, senza neanche un saluto, ci lasciano al livore di giornate lunghe e complesse. Nonostante ciò, è talmente veemente il nostro desiderio di autodistruzione da non riuscire ad augurar loro il male ed essi, benedetti, se ne vanno per le vie del mondo, dispensando altro dolore.
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Aldo Falzone
28 ott 2018

