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Due capolavori ritrovati. Llewelyn Lloyd e Lodovico Tommasi nelle raccolte della Fondazione della Cassa di Risparmi di Livorno

Due capolavori ritrovati. Llewelyn Lloyd e Lodovico Tommasi nelle raccolte della Fondazione della Cassa di Risparmi di Livorno
Titolo Due capolavori ritrovati. Llewelyn Lloyd e Lodovico Tommasi nelle raccolte della Fondazione della Cassa di Risparmi di Livorno
Curatore
Collana CATALOGHI DI MOSTRE
Editore Officina Libraria
Formato
Formato Libro Libro: Libro rilegato
Pagine 63
Pubblicazione 03/2008
ISBN 9788889854150
 
18,00

 
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presso Libreria L'ippogrifo (Piazza Europa, 3)
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presso L' Ippogrifo Bookstore (C.so Nizza, 1)
Ordinabile
Il recentissimo ingresso, nelle raccolte d'arte della Fondazione Cassa di Risparmi di Livorno, di due capolavori della pittura toscana dei primi anni del Novecento, e cioè "Ritorno dai campi" di Llewelyn Lloyd, 1906, e "I calafati" di Lodovico Tommasi, 1910, ha suggerito di organizzare un'esposizione monografica, pensata come un dittico, per presentare queste opere d'eccezione. Il "Ritorno dai campi" di Lloyd trova il suo naturale e più pertinente confronto in un'altra tela del pittore labronico-gallese, e cioè "Le gremignaie", dipinta nello stesso momento (1906) e nello stesso contesto topografico (i dintorni di Antignano), con le medesime intenzioni formali: un'opera conservata in una collezione privata livornese e presente in mostra. Inoltre, per chiarire il rapporto, al di là della modernissima tecnica divisionista, di questi due dipinti di Lloyd con la tradizione ottocentesca del naturalismo agreste europeo, e in particolare francese, risulta illuminante il confronto con opere grafiche di Millet e Jules Breton. "I calafati" di Lodovico Tommasi rivela invece un'evidente vicinanza all'originale declinazione del linguaggio divisionista messa a punto nei primi anni del secolo da Plinio Nomellini: risulta quindi particolarmente illuminante il confronto con un dipinto come Vespero a Torre del Lago dove, oltre alle evidenti analogie della tecnica pittorica, il tema del lavoro era stato similmente interpretato da Nomellini in chiave simbolista.
 
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