NEM: Le civette
Lacrime di babirussa
Riccardo Innocenti
Libro: Libro in brossura
editore: NEM
anno edizione: 2022
pagine: 88
"Il quinto volume delle « Civette » ci porta al cospetto di uno strano mammifero, un mammifero sempre lì lì per subire la catastrofe del proprio Todestrieb, ovvero di accecarsi o persino uccidersi a causa di un'iper-curvatura delle fauci. Che fare, allora? Forse la soluzione è propriamente quella di non respirare: tentazione che si snoda nella poesia apneica che funge da esordio in pezzi staccati delle diverse sezioni. Non respirare potrebbe rappresentare la vittoria contro questa inutile coazione a ripetere che non fa altro che farci collezionare figurine in posa delle nostre esistenze. Oppure forse sarà meglio mettere a nudo guardandole con distacco le proprie necessarie tendenze violente, guardare il sangue constatando che in fondo è solo sangue, redigere un'attenta ricognizione di tutte quelle volte che non tanto per fare in modo che non sia più così, piuttosto per prendere atto che certe cose non fanno altro che compiersi per essere viste, per essere guardate e che forse guardare in faccia è più sapienziale che analizzare. La poesia di Riccardo Innocenti guarda ad una linea ben consapevole della contemporaneità per tentare di farsene qualcosa anche per quanto concerne il mero livello della propria posizione soggettiva, come mostra bene Jessy Simonini nella postfazione: non è detto che ciò che siamo ci si ritorca sempre contro, si possono anche versare lacrime su ciò che è stato, il che certo non cambierà il passato ma almeno ci renderà più consapevoli del nostro tormento e del suo probabile versante ineluttabile. Questioni esistenziali si dipanano nei testi in versi così come in quelli in prosa, giungendo a deliberare che forse sia dal bisogno che dal desiderio occorrerebbe emanciparsi ma, se così non fosse possibile, almeno essere pronti a metterli in gabbia per guardarli così come si guarda lo schermo di un cellulare."
Demi-monde
Silvia Righi
Libro: Libro in brossura
editore: NEM
anno edizione: 2020
pagine: 104
"Le Civette", immutata collana all'interno di una rinata NEM, prosegue il suo cammino nell'intento di trovare opere prime di ricerca dotate di particolare lucore. "Demi-monde" di Silvia Righi riluce come un abitato inumidito da condensazioni acquee del quale è difficile delineare la geografia; come si sa l'umido è pervasivo e della stessa pervasività è fatto questo teatro in bilico, questo occhio che si spalanca mentre il sogno è ancora in corso. Non si afferra quando finisce il sogno e quando comincia la veglia, ma, occorre ricordarselo sin dal principio, non è questo l'importante. Nella sua attentissima prefazione Tommaso Di Dio mette in luce come in "Demi-monde" non sia più necessario avere forte presa su di sé, sul proprio presunto io soggettivo, tanto che perfino i pronomi si sfaldano e si liquefanno, occupando posti quasi arbitrari: siamo in molti si potrebbe affermare insieme ai demoni del Vangelo di Marco o alle personalità di Billy Milligan, ma non è nemmeno così. Io, Tu, Lei, la Creatura (i quasi-personaggi di questo libro) non sono le plurime sfaccettature di un soggetto, né sono i risvolti che appartengono ora alla coscienza ora all'inconscio, piuttosto si tratta degli esiti di un linguaggio che di mira ha il non linguaggio, o meglio poter dire le cose (finalmente) senza mediazioni. "Demi-monde", e con esso la stessa Silvia Righi, credo tentino di dire la vita del corpo, della pluralità tutta dei corpi nella loro pura biologia; e se giustamente il prefatore definisce quest'operazione erotica, si tratta proprio dell'eros muto dei gesti, delle posture e delle relazioni che tra essi si intrecciano e si ingarbugliano come nodi che un pettine non riesce a districare, bypassando il fatto che siamo presi dal linguaggio. Ovviamente entrambi falliscono, ma questo fallimento si chiama poesia.
Progetto per S.
Simone Burratti
Libro
editore: NEM
anno edizione: 2017
pagine: 63
Progetto per S. di Simone Burratti, terzo volume della collana “Le civette”, si colloca in una necessaria posizione d’avanguardia, non ovviamente nel senso di riferirsi alle avanguardie storiche, ma per quello che la suddetta posizione ha sempre significato, che si tratti di poesia, di arte o, in senso stretto, di esercito. Ovvero stare davanti, in prima linea, e da lì ricevere precedentemente a tutti gli altri l’offensiva. Ma anche saperla gestire, che in senso poetico significa fare i conti con tutto quello che c’è stato e metterlo da parte, non prima di averlo digerito e assimilato completamente. Così il percorso verso l’inaudito si caratterizza da quell’ “azzeramento dello stile” che giustamente nella sua prefazione Stefano Dal Bianco tratteggia essere la 'conditio sine qua non' verso un auspicato ritorno della poesia all’inermità nei confronti del lettore. Si tratta di una posizione che per dichiararsi tale deve attraversare il ginepraio del contemporaneo, fatto di asetticità e omologazione del desiderio e che solo inabissandosi in questa risacca di archetipi post-post moderni può raggiungere una nuova riva. Il lirismo deve farsi gergo e la voce non può alzarsi, perché nessuno sentirebbe un urlo in un’epoca dove tutto tuona e lampeggia; occorre una nuova etica del sussurro, occorre parlare la lingua di Google laddove ci si aspetterebbe una pomposa quanto anacronistica apologia del sentimento. Progetto per S. tenta diverse tra le possibili strade per il guado di un nuovo e più subdolo Acheronte, ma nessuno qui ne esce rinato o redento, perché la rinascita è un compito individuale: è necessario quindi cominciare subito, abbandonare lungo il percorso le vecchie vesti e le tanto care desuete abitudini.
Viaggio d'inverno
David Calarco
Libro
editore: NEM
anno edizione: 2016
pagine: 57
Viaggio d’inverno è il secondo volume della collana “Le Civette”. Sfuggenti rapaci notturni, la cui immagine non si fissa spesso sulla retina dell’uomo contemporaneo, più facilmente si tratta di epifanie inaspettate che sorprendono il quotidiano, riportando la natura allo stato dell’imprevedibile. David Calarco ci offre uno di questi stupori inattesi, intrecciando nella sua Opera Prima le trame di un passato doloroso - sia soggettivo che di un’umanità (abitato da guerre, conflitti, abbandoni) - ai tornelli di un procedere incessante. Natura, storia, cultura, sono pietre il cui peso non si può dimenticare, ma si posano come fermacarte sui fogli di una quotidianità che senza di esse sarebbe essenzialmente insensata. Il Winterrreise schubertiano e questo nuovo Viaggio sanno amalgamarsi come si torna all’aurora dalle paludi dell’insonnia, perché non si tratta di visioni o di oniriche suggestioni ma di quelle granitiche prese di coscienza di cui solo le più fervide ore di insonnia sanno essere gravide. La necessità di dar voce alle strenne della vita, anche quando beffarde o indesiderate, è il cuore di questa urgenza, nonché la responsabilità di questo Viaggio d’inverno e della sua pura poesia. Il percorso della collana si snoda quindi in una via lucida ed eterogenea dove i poeti sono ben consci del tentativo perennemente vacillante di operare con la pasta ruvida delle parole o con la loro assoluta metafisica. Eppure da esse possono saper trovare un cuore adamantino e rilucente: il vissuto che le stesse hanno estroflesso in chi prima di noi le ha guardate.
Lo spleen di Milano
Viviana Faschi
Libro
editore: NEM
anno edizione: 2014
pagine: 49
“Lo Spleen di Milano” di baudelaireiana memoria è l’Opera Prima di Viviana Faschi, che inaugura la collana “Le Civette” proprio in omaggio alla “vecchia” Editrice Magenta e agli occhi del predatore notturno sacro agli dei che secondo la tradizione greca, come scrive accuratamente il prefatore, questa è una “poetica della sguardo”; infatti la scrittura della giovane Faschi è una personale riflessione sui limiti dell’agire umano e sul grande disegno che la Poesia universale dona alla realtà quotidiana. Ed è a partire da questa interpretazione compresa tra etica e storia che la figura della poesia negli “Spleen di Milano” segna l’esistenza di una strada percorribile e sviluppa tematiche credibili parlando delle tragedie del vivere nelle quali si indicano i miti che le accompagnano, se ne scrivono i poemi, ma soprattutto se ne indicano le ansie e la malinconia dei luoghi. Infatti se da una parte ci troviamo di fronte ad un io capovolto, come la società degli ultimi anni, dall’altra la prosa poetica di Viviana Faschi si misura con il nesso plausibile tra la poesia (poiein) e la verità (alètheia), temi tanto cari a Heidegger e a Holderlin. Si tratta di un linguaggio colto ma allo stesso tempo semplice (mai semplificato), fortemente introspettivo, quasi autoctono, dove il lirismo è appena accennato a favore di una parola pura e veritativa, che si snoda tra il Duomo e il Mc Donald’s, tra le liturgie sacre di Mariae Nascenti e la home sweet home made in U.S.A. Un libro delle strade tortuose, che vaga al di qua di Milano (il baratro è molto vicino alla riva) e al di là dell’oceano Atlantico, come un epilogo nomade, cercando di dipanare le metafisiche (a volte ambigue e drammatiche) risacche dell’infanzia, ma sempre nitide e chiare, come la nebbia della diversità.