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Solfanelli: Arethusa

Introduzione a una vita di Mercurio

Introduzione a una vita di Mercurio

Alberto Savinio

Libro: Libro in brossura

editore: Solfanelli

anno edizione: 2022

pagine: 48

Preziosa plaquette di appena quaranta pagine, Introduzione a una vita di Mercurio, opera ibrida fra il récit e l’essai, apparve in francese nel 1945, a cura di Henri Parisot, presso le edizioni Fontaine. Da allora non più ristampata, né in Francia né nel nostro Paese, ha oggi la rarità numerica (se non il valore venale) della Bibbia di Gutenberg e viene qui proposta in traduzione italiana a cura di Maurizio Grasso. Mercurio-Ermete non poteva non essere la figura centrale nella mitologia personale di Savinio, il corrispettivo celeste della sua terrena poligrafia. È il postino dell’Olimpo, il patrono dei commerci, dei ladri e delle strade, il cicerone delle anime e dei sogni, la meteora e l’icona del viaggio, l’inafferrabile, il transeunte, il marginale. È insomma per lo scrittore – genio mercuriale – il simbolo stesso della libertà interiore e il nume tutelare del suo universo poetico. Il libro, tanto breve quanto straordinario, anche in virtù del cumulo di riferimenti simbolici che vi si concentrano, risulta essere l’ultimo dei suoi testi narrativi, essendo gli anni dal 1945 alla morte dedicati soprattutto al teatro e alla regia musicale. Ritroviamo qui, nell’artefice della stagione protosurrealista degli anni Venti, l’intero capitolo di un immaginario testamento spirituale. Lo scrittore ha accarezzato a lungo il proposito di raccontare il desiderio segreto del «suo» Mercurio. Questo dio obbligato a volare un palmo sopra la humanitas, su cui non gli è concesso soltanto posarsi, questo dio che un cliché plurimillenario costringe nel ghetto di un’intelligenza aerea, lo rende «altro» rispetto alla categoria-uomo. E così, non pago del suo aureo isolamento, Savinio/Mercurio transita dallo stato di immortale a quello di eterno. E non cessa di stupirci.
6,00

Mademoiselle Bistouri di Baudelaire o dell'insensatezza

Mademoiselle Bistouri di Baudelaire o dell'insensatezza

Marina Van Zuylen

Libro: Libro in brossura

editore: Solfanelli

anno edizione: 2022

pagine: 64

Queste pagine sul poemetto in prosa di Baudelaire Mademoiselle Bistouri, uno dei più sibillini dello Spleen de Paris, sono esaminate da Marina van Zuylen alla luce di una nuova interpretazione della monomania, in questo caso di una monomania a due. L’autrice, accostando alcune idee di Kant e di Hegel sulla follia, grazie al supporto teorico del Dialogue avec l’insensé di Gladys Swain, vede nell’idea fissa della pazza protagonista una sorta di antidoto alla coscienza infelice. Fra i vari incontri occasionali di Baudelaire che si mescola alla folla e passeggia per i dedali della capitale parigina, mostruosa morfologia che si trasforma sotto l’incalzante capitalizzazione dello spirito, oltre ai dimenticati della vita, ai ciechi, ai saltimbanchi, alle vecchierelle e alla celebre passante dalla «fuggitiva bellezza», l’impatto con Mademoiselle Bistouri, eroina dell’omonimo poemetto, ha una valenza a parte e uno statuto tale da interessare la psicologia del profondo. Si tratta di un’insolita peripatetica che ha l’idea fissa di invitare in casa uomini che svolgono la professione medica per farsi raccontare le loro esperienze in sala operatoria. Probabile figlia di un abuso giovanile o di qualche induzione abortiva, la pazza scambia il narratore per un chirurgo e lo invita a casa sua per incalzarlo con le sue monomanie. Il narratore sta al gioco, sia per distrarsi dalla banalità del quotidiano e dallo spleen, sia per carpire «l’enigma insperato» che si annida dietro l’insana passione della donna. Ne esce un dialogo serrato fra ragione e irragionevolezza, fra realtà e irreale. Ma il narratore disincantato, che all’inizio la guarda con sufficienza, finirà per farsi guidare da questa nuova passante le cui norme sono perfettamente autonome. Così dal monologo di un dandy altezzoso passiamo al dialogo con un’insensata che gli insegnerà forse maggiormente chi è lui. All’analisi di Marina van Zuylen abbiamo fatto seguire una «lettura psicanalitica» di Giuseppe Bevilacqua, non priva di utili suggerimenti freudiani.
7,00

Leopardi e Baudelaire con due scritti di Vittorio Amedeo e Lionello Fiumi

Leopardi e Baudelaire con due scritti di Vittorio Amedeo e Lionello Fiumi

Bruno Romani

Libro: Libro in brossura

editore: Solfanelli

anno edizione: 2021

pagine: 72

Il saggio di Bruno Romani che dà il titolo al volume, presentato egregiamente da Matteo Veronesi, rappresenta un tipico esempio di comparatistica accademica di grande rigore metodologico e alta precisione documentaria. Esso sintetizza i punti essenziali dello status quaestionis sul parallelo fra due grandi maestri letterari, raffronto poco trattato dalla critica, nel complesso, sia pur con autorevoli eccezioni. Bruno Romani si sofferma impeccabilmente sul binomio Leopardi-Baudelaire e ne insegue le trame sottese da una ricca letteratura che consentono di chiarire con maggior esattezza filologica la filiazione del poeta francese da quello italiano. Ne esce uno spoglio esaustivo e convincente dei testi chiave francesi che hanno potuto influire sull'autore delle Fleurs du Mal, in particolare lo studio pubblicato da Sainte-Beuve nel 1844. Il saggio è accompagnato da due brevi scritti, esempi di stili e metodi diversi: la critique poétique immaginosa, lieve e soggettiva, di Lionello Fiumi, e la rapida e agile divulgazione giornalistica di Vittorio Amedeo Arullani, testimonianza di un giornalismo letterario al quale non siamo più abituati: dotto, raffinato, pacato, sensibile, immune dalle polemiche, non strettamente legato alla pressante attualità editoriale. Chiude il volume lo scritto di Giuseppe Grasso, un lavoro tematico che fa da contraltare a quello filologico di Bruno Romani. Si tratta di una ricognizione comparatistica per futuri approfondimenti e ulteriori messe a fuoco sul tema, distribuita in 18 punti non sempre collegabili fra di loro. Non è alternativa alla Presentazione ma complementare ad essa, divisa in sequenze di minor o maggior ampiezza.
8,00

Sul «nipote di Rameau»

Sul «nipote di Rameau»

Andrea Calzolari, Ferruccio Masini

Libro: Libro in brossura

editore: Solfanelli

anno edizione: 2021

pagine: 80

"Il nipote di Rameau", testo memorabile di Diderot, fu tradotto da Goethe nel 1805 ed elogiato da Hegel nella Fenomenologia dello spirito. Può essere considerato il suo capolavoro filosofico-satirico, il libro in cui la dialettica del pensatore francese ha saputo raggiungere la sua massima e più compiuta espressione. L'opera, come ha detto Foucault, è «il delirio, realizzato come esistenza, dell'essere e del non-essere del reale». La vicenda è narrata in forma di «dialogo immaginario» fra Rameau, nipote del celebre musicista nonché libertino adulatore, e Diderot, fra «Io» e «Lui», i protagonisti del dialogo, scissione vivente del soggetto che si coglie solo in una dialettica irrisolta reciprocità. Alla lettura critica di questo imponente «dialogo», colorito e complesso, proponiamo qui due scritti molto pertinenti e penetranti di Andrea Calzolari. Come per tutti i grandi materialisti, da Epicuro a Marx, anche per Diderot il «materialismo» non è solo ipotesi conoscitiva sulla natura del mondo esterno, è critica della falsa coscienza, come dimostra l'autore, analisi radicale che demistifica l'ideologia, mettendo in giusta luce la posizione diderotiana come una delle punte avanzate di una cultura illuminista che aveva la vocazione della critica e dello smascheramento. I due scritti di Ferruccio Masini posti in appendice, commento e contraltare ai saggi di Calzolari, riprendono, in tutta la ricchezza delle sue funzioni trasgressive e produttive di senso, quello stesso materialismo che da sempre il pensiero borghese si è sforzato di esorcizzare relegandolo al margine della storia umana, facendo rilevare la densità «molecolare» di scrittura e le «sotterranee specularità» dei paradossi di Diderot. Con due scritti di Ferruccio Masini.
8,00

Fenomenologia della coscienza critica

Fenomenologia della coscienza critica

Georges Poulet

Libro: Libro in brossura

editore: Solfanelli

anno edizione: 2020

pagine: 72

Questo volume, curato diligentemente da Rossella Gaglione, accoglie due saggi della produzione di Georges Poulet. Il primo di essi, Fenomenologia della coscienza critica, riprende il testo di una conferenza pronunciata nella primavera del 1967, mentre il secondo, Coscienza di sé e coscienza dell'altro, scritto tre anni dopo, è un discorso elaborato per il pubblico di Tubinga in occasione del conferimento del premio Montaigne. Nella sua opera Poulet non ha mai trascurato il rapporto esclusivo e simbiotico che s'instaura fra chi legge e chi scrive, un'empatica-simpatetica unione di coscienze, un gioco di specchi e di rimandi in cui la riflessione individuale non comporta una chiusura ma coincide col riflettere, nel proprio Io, quello di un altro. Teorizzare significa prendere una posizione, uscire dall'anonimato cui lo condanna la pratica, stabilire convergenze di pensiero e prendere le dovute distanze. Entrambi gli scritti sono dettati da un'unica esigenza: spogliarsi dell'habitus del critico in modo da mostrare le pieghe, offrendo al lettore un lavoro di edificazione della propria immagine in fieri. Da quest'angolatura l'operazione compiuta appare complessa e raffinata, perché deve porsi egli stesso come acerbo lettore e riuscire a configurare la coscienza dell'autore con la quale si sta confrontando, essendo questa non solo il «senso» della scrittura ma anche il «resto» pulsante che eccede la dimensione narrativa. La potenza dell'operazione ermeneutica espressa in queste pagine, che aprono orizzonti conoscitivi densi di echi e suggestioni, fra i massimi sforzi della sua teorizzazione critica e filosofica, sta nell'aver vitalizzato la coscienza del lettore risvegliandola dal torpore cui spesso la lettura l'aveva condannata. La critica letteraria diventa qui, inevitabilmente, mentre scopre se stessa nell'atto di scoprirla, «critica della coscienza».
7,00

La sofferenza umana. Aspetto patico dell'esistenza

La sofferenza umana. Aspetto patico dell'esistenza

Eugène Minkowski

Libro: Libro in brossura

editore: Solfanelli

anno edizione: 2020

pagine: 56

Lo scritto di Eugène Minkowski che qui presentiamo, curato da Gianluca Valle, è stato scritto nel 1955 per una conferenza di neurologia. Il testo fu poi pubblicato nel 1963 su una rivista specializzata ed è stato ripreso di recente in una miscellanea di scritti clinici. È merito di Silvia Peronaci, che si è occupata del dolore in più occasioni, aver indicato la valenza di queste «pagine bellissime» - riprese in compendio alla fine del Traité de psychopathologie - e averne promosso la pubblicazione fin dal 2016. Con una rara e inedita semplicità lessicale, ma anche con una stuzzicante riflessività, lo psichiatra si misura col tema del soffrire, visto come un «aspetto patico dell'esistenza», come un elemento «inalienabile» e «costitutivo» dell'essere umano. Andando oltre la differenza, pure fondamentale, fra dolore fisico e sofferenza umana, egli si concentra in tutto lo scritto su quest'ultima, chiamata a ricomporre, nella deposizione del saggio di circostanza, un utile percorso. Da bravo fenomenologo, Minkowski fa una distinzione fra la «sofferenza umana», generale e collettiva, e le «sofferenze degli individui», con le diverse reazioni cui possono dar luogo, dalla nostalgia per una «perdita irreparabile» a un sospiro per i «cari tempi andati». La sofferenza, «inevitabile» e «necessaria», non ha niente a che vedere con i «vantaggi» o gli «svantaggi» di una visione utilitaristica del vivere. Né potrebbe essere, per l'autore, una mera «addizione di sofferenze». Lo sguardo del terapeuta è rivolto al futuro, verso la dimensione più importante fra quelle che caratterizzano il «tempo vissuto», visto non solo, tout court, come una pura «proiezione dei cari vecchi tempi». Questo concetto del divenire bergsoniano della vita, esposto in Le temps vécu, è alla base della sua meditazione. La sofferenza è parte integrante di questo cammino nella «breccia» che si apre «verso l'avvenire», espressione di qualcosa che ci trascende. L'uomo è fatto per «avanzare penosamente nella vita».
7,00

Essenza della poesia

Essenza della poesia

Friedrich Hölderlin

Libro: Libro in brossura

editore: Solfanelli

anno edizione: 2019

pagine: 64

Questo dittico hölderliniano sull'«essenza della poesia», che comprende Fondamento dell'Empedocle e Sul procedimento dello spirito poetico, fu liberamente tradotto da Rosario Assunto nel 1948 e viene qui riproposto nella versione aggiornata di Gianluca Valle, autore di un utile Poscritto, per il suo valore storico-documentario. Fu l'estetologo italiano, infatti, a far conoscere l'attività teorica del poeta tedesco prima che i due scritti divenissero oggetto di un'attenzione specifica da parte di critici letterari e filosofi. La strada su cui s'incammina Assunto è diversa da quella di Heidegger. Se il secondo vuole uscire dai confini dell'estetica perché la considera interna agli orizzonti della metafisica, il primo integra l'analisi degli scritti teorici con quelli poetici, soffermandosi sui processi di creazione e di ricezione dell'opera d'arte. Assunto ri-colloca giustamente l'opera hölderliniana all'interno della temperie culturale del Romanticismo e dell'Idealismo tedeschi. Lo scopo dell'arte, secondo Hölderlin, consiste nel «rendere presente l'infinito», una cosa possibile solo se l'opera è una «forma vivente», un «punto fermo» da cui irradiano alternanze armoniche e opposizioni risonanti. La tesi che si ricava da questa interessante operazione editoriale si può così riassumere: la poesia fornisce un accesso privilegiato alla verità perché procede in modo diverso dalle filosofie dell'intelletto o della ragione. Si tratta di pagine illuminanti, pur nella loro tortuosità, dove la questione che assilla Hölderlin è quella dell'«oggettività» del linguaggio in generale e di quello poetico in particolare. La sua lezione, nella misura in cui richiede l'oggettività della poesia, risulta preziosa in quanto avverte che tale oggettività non è quella degli oggetti empirici ma è quella che si rivela, assai più alta, nel linguaggio, dove si saldano esteriorità e interiorità. La poesia è fondazione di un valore ontologico e non meramente fenomenico.
7,00

Lettura del «Cimetière marin»

Lettura del «Cimetière marin»

Gustave Cohen

Libro: Libro in brossura

editore: Solfanelli

anno edizione: 2019

pagine: 64

Il commento di Gustave Cohen al Cimetière marin, qui proposto per la prima volta in italiano, è una pietra miliare nella bibliografia su Paul Valéry, un testo che ha fatto epoca e che, pur risalendo al 1933, rimane un classico. Lo studioso analizza diligentemente, strofa per strofa, le 24 sestine di decasillabi che compongono il capolavoro del poeta francese, cercando di scoprire vaghe parentele fra il suo pensiero e i sistemi di Lucrezio, Leonardo o Bergson. Nato come corso universitario alla Sorbona e spiegato davanti a un uditorio in cui figurava, non a caso, lo stesso Valéry, fu pubblicato in volume con la lunga prefazione del poeta, Au sujet du "Cimetière marin", che è una sorta di «racconto ideale» sulle origini dei suoi versi e in cui c'è anche un atto di riconoscenza verso il critico che aveva inteso ed esposto compiutamente le intenzioni e le espressioni di un poema ritenuto «oscuro». Cohen ripercorre l'interno strutturarsi di questa composizione elaborata scoprendovi un'architettura segreta, ripartita in quattro parti di vario tono emotivo e tematico. Tre «voci» vanno a comporre il respiro del poema: il «protagonista», che è il «Non-Essere» simboleggiato dal sole a picco, il «deuteragonista», ovvero la «coscienza del poeta» che si abbandona all'estasi, e il «tritagonista», l'autore stesso, che è insieme «attore» e «spettatore» del dramma metafisico che contempla. Alle analisi sul fondo concettuale del Cimetière marin, di cui sono messi in luce i nuclei tematici, si alternano quelle sul piano stilistico-espressivo. Cohen mette a fuoco lo specifico poetico di Valéry e riepiloga alcune particolarità o anche arditezze della sua originale tecnica di versificazione, passando in rassegna neologismi, arcaismi, latinismi, ellenismi e molto altro, così da rendere più agevole la comprensione globale del testo.
7,00

«La fanciulla dagli occhi d'oro» con altri due scritti su Balzac

«La fanciulla dagli occhi d'oro» con altri due scritti su Balzac

Hugo von Hofmannsthal

Libro: Libro in brossura

editore: Solfanelli

anno edizione: 2019

pagine: 72

Questa silloge di scritti hofmannsthaliani su Balzac, tre per la precisione, riuniti insieme per la prima volta grazie alla cura di Cristiano Bianchi e Giuseppe Grasso, colma una lacuna editoriale non solo italiana. Averli messi in uno stesso volume è il segno di una chiara scelta editoriale, fondamentale e fondante, perché si tratta di pagine nodali, poetiche e illuminanti, che risaltano nel profluvio della letteratura sul grande scrittore francese, fra le più alte testimonianze dell'influsso esercitato da Balzac sulla posterità. Il primo di essi, La fanciulla dagli occhi d'oro, del 1905, è la Prefazione all'omonimo volume balzachiano dell'edizione tedesca, soffuso di densa poesia. Il secondo, Sui personaggi nel dramma e nel romanzo, del 1902, è un dialogo teatrale immaginario fra Balzac e l'orientalista Hammer-Purgstall, pieno di calore e impeto. Il terzo, Balzac, del 1908, redatto come Introduzione a un'edizione tedesca della Comédie humaine, è, secondo Ernst Robert Curtius, la «cosa più bella, più compiuta, più profonda che sia mai stata scritta su Balzac». A rileggerli con severità e oculatezza anche oggi, gli scritti qui presenti rivelano intatta la loro vibrante modernità. Essi contengono non pochi spunti critici su Balzac, visto non solo come un Omero della borghesia affaristica di primo Ottocento ma anche, sulla scia del giudizio di Baudelaire, come un sognatore e uno spiritualista, come un alchimista confinato nel cerchio claustrale della propria «segregazione», tappezzata qua e là di ogni genere di fantasmagoria, quasi un maledetto avant la lettre. La grandezza di Balzac, secondo Hofmannstahl, deve essere valutata nella sua forza di ricreare la vita, cogliendone il lato demoniaco e l'ebbrezza magica, non solo la vis comunicativa. Lo scrittore austriaco rivendica l'apporto di Balzac alla letteratura, il fatto di essere un «appassionato veggente» e un «estatico». Anche per questo ogni generazione potrà vederlo «secondo il proprio punto di vista, in modo diverso, come un volto titanico, e lo additerà come il simbolo di una ricchezza interiore indicibile».
8,00

Studio su Mallarmé

Studio su Mallarmé

Mario Luzi

Libro: Libro in brossura

editore: Solfanelli

anno edizione: 2018

pagine: 136

Nel 1952 esce a Firenze, per i tipi di Sansoni, "Studio su Mallarmé" di Mario Luzi, un denso libro che s'impone all'attenzione della critica perché il grande poeta fiorentino ingaggia un illuminante e sentito confronto con il poeta francese, fra i più oscuri della letteratura moderna. Luzi, che muove da premesse ermetiche, si misura con Mallarmé usando acuta sensibilità e indubbia lucidità di giudizio, ricercando la suggestione arcana e irresistibile di una poesia che si protende verso l'Assoluto. Nel 1987 Luzi aveva ripubblicato quel libro con un'emblematica Avvertenza, in cui aveva ridefinito il posto che in esso era stato da lui negato all'Après-midi d'un Faune, il famoso poemetto filosofico illustrato da Manet nel 1876. Il volume viene oggi riproposto qui, con una preziosa intervista a Luzi del 1985, insieme a quella storica Avvertenza, della quale è riprodotto in appendice il dattiloscritto, testimonianza diretta della fervida officina del poeta.
11,00

Il mito di Piranesi nei romantici francesi

Il mito di Piranesi nei romantici francesi

Georges Poulet

Libro: Libro in brossura

editore: Solfanelli

anno edizione: 2018

pagine: 80

"Il mito di Piranesi nei romantici francesi", curato da Luca Quattrocchi, è un'avvincente ricognizione dell'influenza esercitata dalle scale a spirale sui romantici francesi. Partendo dalle incisioni delle Carceri d'invenzione di Piranesi descritte da Coleridge, di cui Thomas De Quincey fornisce un'incredibile trasposizione, Georges Poulet intraprende un viaggio appassionante per individuare le «idee fisse» e le «ossessioni personali» messe in moto da quelle visioni. Le immagini piranesiane, analoghe alle allucinazioni del consumatore d'oppio, sono un chiaro esempio della deformazione per estensione dello spazio normale. Con esse si entra nel territorio del mito. L'approdo francese avviene con Alfred de Musset, traduttore-adattatore delle Confessioni di De Quincey, cui fa seguito il racconto Piranèse di Charles Nodier. Ma le pagine più acute sul tema sono forse quelle sul vorticoso sprofondare nell'abisso, che trovano in Hugo e in Baudelaire interpretazioni di sconcertante modernità. Se l'operazione critica condotta dal critico belga ha il pregio di portare alla luce l'idea che la prigione piranesiana sia uno spazio delimitato e limitante, frutto di un malessere esistenziale o di uno sfaldamento del reale, è merito di Luca Quattrocchi aver ricercato l'eco delle rêveries romantiche presso alcuni intellettuali del Novecento, da Sergej Ejzenštejn ad Aldous Huxley, da Marguerite Yourcenar ai Situazionisti, che vedranno nell'essenza labirintica delle Carceri uno strumento ideologico per criticare il capitalismo. Anche in ciò sta il fascino delle pagine proposte al lettore italiano, nell'indicare un'esplorazione delle fantasie architettoniche nate all'insegna del gusto piranesiano e nel ricollegare le suggestioni romantiche alle rivisitazioni novecentesche, andando a suggerire come gli spazi sinistramente reali delle prigioni, ancorché artificiosi e claustrofobici, siano non solo l'emblema di un'umanità atomizzata e rinchiusa su se stessa ma capace di preconizzare l'avvento di una comunità nuova e liberata.
8,00

Sull'essenza del riso e in generale sul comico nelle arti plastiche

Sull'essenza del riso e in generale sul comico nelle arti plastiche

Charles Baudelaire

Libro: Libro in brossura

editore: Solfanelli

anno edizione: 2017

pagine: 64

Sull'essenza del riso, qui presentato da Alfredo Civita e Giuseppe Grasso, è un saggio ricco di spunti che sembra scritto 45 anni dopo, cioè quando esce il famoso libro di Bergson "Il riso". Apparso nel 1855, era stato rimaneggiato più volte da Baudelaire, al punto da diventare un'ossessione. Nessuno si era spinto prima di lui a indagare le ragioni del comico con un esame così minuto e coscienzioso, sostenuto da una scrittura chiara e dimostrativa, anche se venata qua e là da un tono ironicamente cerimonioso. Baudelaire inizia la sua dimostrazione con la massima "Il saggio ride solo tremando", riconducibile alla tradizione biblica e cattolica, in cui tende a declinare l'idea che il verbo incarnato non ha mai riso. Ridere per il saggio è sconveniente e anti-divino, significa cedere a una tentazione impura che va a ledere quella serenità contemplativa che è il suo ideale. Il comico ha un'origine diabolica e dannata, nasce dall'avvertimento della propria superiorità, idea luciferina per eccellenza. Una volta indicata l'origine contraddittoria del riso, che nasce da uno "scontro", Baudelaire distingue il "comico ordinario" (o "significativo")...
7,00

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