Il Duomo

Un saio marrone, un paio di sandali, gli occhi azzurri, il sorriso e quelle braccia sempre aperte, pronte all’abbraccio. Questi i tratti che ricordano di padre Contardo gli amici di una vita. La sua cordialità era inossidabile e il francescano non la perse mai, nemmeno quando era ormai sofferente per via dell’età avanzata e della malattia. Ma non bisogna cadere in un facile tranello. L’allegria di padre Contardo non era un semplice dato di fatto caratteriale: uno di quei pregi innati per cui, in un certo senso, non c’è colpa e non c’è merito. Certo, lo aiutava una predisposizione naturale al sorriso, ma la sua gioia era il segno evidente di qualcosa di più profondo: della certezza della presenza amorevole di Dio nella sua vita. Lo scriveva nel 1971, in occasione della morte della mamma Giuseppina: «Signori miei, non venitemi a raccontare che un Dio non esiste; se così credete, siete sfortunati, ma immensamente sfortunati».

Il 10 settembre 1978 papa Luciani si rivolgeva alla folla raccolta in piazza san Pietro con parole destinate a fare la storia: «Anche noi che siamo qui abbiamo gli stessi sentimenti; noi siamo oggetto da parte di Dio di un amore intramontabile. Sappiamo: ha sempre gli occhi aperti su di noi, anche quando sembra ci sia notte. È papà; più ancora è madre». Parole piene di tenerezza, che restituivano l’immagine di un Dio capace di farsi madre per prendersi cura dell’umanità. Cinquant’anni prima un sacerdote piacentino dimostrava la stessa sensibilità. Proprio a questo inusuale volto di Dio, infatti, mons. Torta volle consacrare le proprie suore, quando nel giorno di san Giuseppe del 1921 fondò una congregazione che si occupasse dell’accoglienza ed educazione dell’infanzia bisognosa. Da quel lontano giorno sono passati cento anni, ma sempre – oggi come allora – nelle Suore della Provvidenza per l’infanzia abbandonata continua a battere un autentico cuore di madre.

Dagli incontri con il mondo politico alle omelie alla città in occasione della festa del Patrono Sant'Antonino agli interventi sulla comunicazione negli incontri annuali dei giornalisti: questo libro, nel passare in rassegna le parole del vescovo di Piacenza-Bobbio mons. Gianni Ambrosio nei dodici anni del suo ministero, ci aiuta a entrare con la luce della fede "nel cuore della storia" e a capire la posta in gioco per i credenti. Le difficoltà non mancano. Lo riconosceva Benedetto XVI nel 2009 nell'enciclica "Caritas in veritate": "La società sempre più globalizzata ci rende vicini, ma non ci rende fratelli". Mons. Ambrosio indica la strada del servizio, del "prendersi cura", del cercare l'unità per offrire all'uomo e alla donna di oggi risposte vere, capaci di scavare nella loro interiorità.

Avevamo relegato la morte in un angolino della nostra vita, quasi a cacciarla via. E lei, armata di un invisibile virus, si è presa la sua rivincita. Piacenza è ferita. La dolorosa pagina del coronavirus, con le incertezze del futuro, nella primavera 2020 ha provocato un migliaio di morti. Questo libro racconta le storie dei sei sacerdoti morti in questi mesi, dall’inizio della pandemia. Sei “compagni di viaggio”, con la loro personalità, le loro scelte, le loro opere, la loro umanità. Insegnano che la vita, se resta chiusa in se stessa, si trasforma in un albero secco, arido; se invece accoglie Cristo, pur nella ferita del dolore e delle sconfitte, vede nascere l’amore e la speranza. È la Croce gloriosa di Cristo, che da assurdo luogo di condanna diventa albero di vita. Questi “compagni di viaggio” ci aiutino a guardare in faccia alla vita, a non scappare mai, a lasciarci incontrare da Dio, a consegnargli le nostre paure, ad accettare i nostri limiti, a “gareggiare - come scrive San Paolo - nello stimarci a vicenda”.