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ABE: Cronache Regno di Napoli fra 1400 e 1500

Colpo di Stato a Palazzo Reale: il Viceré di Napoli sequestra il tesoro di San Gennaro e s'incorona Re sul balcone della Regia nel 1620

Colpo di Stato a Palazzo Reale: il Viceré di Napoli sequestra il tesoro di San Gennaro e s'incorona Re sul balcone della Regia nel 1620

Arturo Bascetta

Libro: Libro rilegato

editore: ABE

anno edizione: 2025

pagine: 228

Allo scadere del suo terzo mandato da governatore del Regno di Napoli, per conto del Re Filippo III di stanza a Madrid, il Generale e Viceré Don Pietro d'Ossuna si diede a fidelizzare il popolo, nella speranza di essere riconfermato nell'incarico. Quella, in realtà, fu un'occasione irripetibile per Napoli, che l'8 gennaio, due giorni dopo l'Epifania, rischiò di diventare la prima città europea a ribellarsi alla monarchia spagnola. L'occasione si presentò alla visita dei figlioli alla sala del tesoro di San Gennaro. Si conservava allora il tesoro reale degli antichi Re di Napoli in maggior stima di quella è al presente perché da quel tempo in poi, e particolarmente dal tempo di Masanello in poi, è stato quasi dal tutto distrutto, sia rispetto a' bisogni grandi della Corona, sia per essere stato manomesso da' Viceré, e quel poco che resta transportato ne' Castelli. Dunque, il Viceré, quell'otto di Gennaio, diede un superbo banchetto, nel corso del quale si trattenne a pranzo con trenta nobili, fra prencipi, duchi, e conti, risultati fra i principali signori del Regno, fatti tutti suoi «compadri», scelti fra quelli risultati più confidenti e benemeriti. Terminata l'ultima portata Don Pietro condusse il figlio e la nuora a scoprire la bellezza di questo tesoro, che fino a quel giorno non avevano visto, con al seguito tutti i grandi di Napoli che erano stati invitati a pranzo. Nella stanza di questo tesoro vi era un gran balcone, che all'uso d'Italia spargeva fuori, in una gran Piazza, che per esser giorno di domenica, e per le altre ragioni che si diranno, vi era un numero infinito di popolo. Rientrato poi di dentro spasseggiò alquanto dicendo facetie come al suo solito, poi presa la corona del Re Alfonso, con il scettro, ch'erano ambidue molto ricchi di gemme, postasi in capo la corona, e tenendo in mano lo scettro, mentre s'avvicinava al Balcone, voltatosi verso quei titolati che l'andavano seguendo gli disse: - Eh bene Signori, come trovate che mi stà questa corona sul Capo?. Ma non furono dello stesso avviso i nobili di Napoli...
49,00

Lo scisma del 1378 con due papi e due re: Re Luigi nel Principato di Ascoli Piceno del Regno di Puglia a Caserta; Carlo III nel Principato di Taranto del Regno di Sicilia Ultra a Napoli

Lo scisma del 1378 con due papi e due re: Re Luigi nel Principato di Ascoli Piceno del Regno di Puglia a Caserta; Carlo III nel Principato di Taranto del Regno di Sicilia Ultra a Napoli

Arturo Bascetta

Libro: Libro rilegato

editore: ABE

anno edizione: 2025

pagine: 174

La grande intuizione di Bascetta prende forma, il teorema di Contea, Ducato e Principato di Puglia sito in tre luoghi diversi è ormai una realtà. Ma non solo. Vi fu anche una Contea, Ducato e Principato diverso per la Sicilia, in quanto la sede vicariale del Duceto concide con qualla di Gerusalemme che è Barletta. Sono i regni di foro Ylio, bis-Ylia e cis-Ylia: Barulo di Capua, Baruletto a Bisceglie e poi Barletta, la Sicilia che non c'entra con l'Isola che i pugliesi liberarono dai Saraceni con l'aiuto degli Altavilla, per sfuggire ai Normanni provenienti da Capua. In quest'ultimo testo è viva la corsa ai troni italici dei troiani di ogni tempo, tutta interna ai Provenzali (Del Balzo, Angioini e Tarantini), abbiamo un quadro sempre più completo sui tre fulcri del costituendo Regno intorno alla nuova Napoli, dove tutti i sovrani vollero mettere capo, per scrivere la parola fine a una conquista che durò tutto il Medioevo. L'occasione è data dal trasferimento della sede papalina dalla cattività avignonese a Roma, dove fu obbligatoria l'elezione di Urbano VI per convincere i cardinali, trattenuti con la forza, a votare un papa di patria napoletana, che potesse porre termine alle discordie feudali e affidare definitivamente ai Napoletani lo scettro di capitale e a Taranto quello di sua vicaria, cioè di unico Principato. I più tremendi baroni furono quelli della Casa del Balzo, i quali, sempre scontenti per non aver portato a termine l'investitura imperiale di Costantinopoli, si erano riversati alla conquista del Levante, pretendendo di impossessarsi del trono di Gerusalemme, in quanto già proprietari del vecchio Principato del Monte Cavoso, più o meno coincidente con il trono dell'antica Cecilia continentale, fra Bisceglie e Barletta. Ma l'ultimo Papa, prima di morire, anziché ai Del Balzo, aveva riconsegnato la titolarità del trono di Sicilia alla Regina Giovanna, scartando di fatto l'adozione di un Balzino a erede del reame, già imparentati fra l'altro con i Catalani a Palermo e padroni delle Calabrie. Per tenere la situazione del Regno della Chiesa sotto controllo, a Roma, si decise di dire basta alla cattività avignonese e fu obbligatoriamente eletto Papa Urbano VI. La cosa non piacque ai cardinali, i quali, appena liberi, fuggirono a Fondi, più che impauriti, a chiedere aiuto alla Regina, eleggendo Clemente VII per antipapa, e lasciando che da Sabaudia partisse un Comitato militare per sequestrare al Papa di Roma la Marca di Ascoli, come avvenne, quando i papalini fuggirono su Ancona e la provincia ducale tornò al proprio legittimo soglio dell'urbe di Foro Julio della Langobardia Minor, sede del vecchio «Regno Apulia» nella Civitate mariana chiamata Principato. Mancava però un Re per questo vecchio trono casertano, di rito misto ortodosso, che ogni tanto la storia tirava fuori per osteggiare le decisioni papali avverse. Per tali motivi la Regina fu subito scomunicata, avendo rifiutato di fare i del Balzo eredi del Regno di Napoli, subendo la rivolta dei parenti Catalani in Calabria, della vicaria pugliese di Teano e di quella napoletana di Taranto, riuscendo però a liberare la vicaria ducale del Sasso Cavoso di Matera, grazie ai Sanseverino, scongiurando così la caduta del trono di Sicilia, appoggiato dall'antipapa. Clemente riprese così la strada di Avignone e lo scisma divenne un fatto acclarato, sollevandosi perfino Firenze e Pisa per opera dei Ciompi.
55,00

L'astronomo di Benevento. Marco Beneventano e altre storie: Papa Benedetto XIII e Alfredo Zazo

L'astronomo di Benevento. Marco Beneventano e altre storie: Papa Benedetto XIII e Alfredo Zazo

Virgilio Iandiorio

Libro: Libro rilegato

editore: ABE

anno edizione: 2025

pagine: 108

Marco Beneventano fu un astronomo di fama. Egli polemizza con gli avversari del nominalismo, dottrina filosofica, una delle correnti più importanti della Scolastica, la quale sosteneva che i concetti, in filosofia chiamati universali, non posseggono una loro propria esistenza prima o scollegata dalle cose, né esistono al di fuori o nelle cose ma vengono concepiti solo come nomi. Dopo il 1500 lo ritroviamo a Venezia su invito del patrizio Giovanni Badoer, suo compagno di studi. Da qui, dopo qualche tempo, si trasferì a Roma, al seguito del cardinale Pietro Isvalies, (Messina, 1450 circa - Cesena, 1511), elevato al grado di principe della Chiesa nel 1500 dal papa Alessandro VI. (Filippo Crucitti, s. v. Isvalies in Dizionario Biografico degli Italiani, vol. 62, 2004). A Roma, si dedicò - in collaborazione con Giovanni Cotta - a studi geografici e astronomici. Tali conoscenze si riversarono nell'edizione romana del 1507 della Geographia di Tolomeo, per la quale elaborò, insieme con Cotta, gli ampi Schemata. Dopo la morte del cardinale Isvalies nel settembre 1511, Marco fece ritorno a Napoli, presso il cui Studio (cioè l'università) ottenne la cattedra di logica, e in seguito, tra il 1513 e il 1514, anche quella di geometria. Di vasta competenza astronomica e astrologica, Marco sostenne una polemica che lo oppose, tra il 1520 e il 1521, ad Albert Pigghe, docente di astronomia a Parigi. La controversia prese avvio nel 1520, quando Pigghe pubblicò in forma anonima il De aequinoctiorum solsticiorumque inventione, suscitando la reazione del Beneventano, che rispose con l'Apologeticum opusculum adversus ineptias cacostrologi anonimi (Napoli, A.Frezza, 1521), aspra critica rivolta all'ignoto astrologo che osava porre in discussione la validità non solo delle Tabulae Alphonsinae, ma anche delle scoperte di grandi astronomi quali Georg Peurbach (Purbach) e il Regiomontano (Johann Müller). Pigghe replicò con la Adversus novam Marci Beneventani astronomiam… Apologia (Parigi 1521), alla quale M. rispose nell'agosto 1521 con il Novum opusculum iterum scribentis in cacostrologum referentem ad eclypticam immobilem abacum Alphonsinum (Napoli, A. Frezza), che chiuse una disputa di notevole risonanza. Nel Novum opusculum del 1521 si definiva un "senex sacerdos ac Monachus". Dopo di quella data non si ha più notizia di lui; si ignora la data della sua morte. Non è certo, inoltre, che per il giubileo del 1525 Clemente VII lo abbia chiamato a Roma con l'incarico di penitenziere della basilica di S. Pietro, tra i diversi confessori nominati nel 1524 dal papa compare un "Marcus Abbas Beneventanus". Una tale identificazione, già proposta da A. Vittorelli (Historia de' giubilei pontificii, Roma 1625, p. 347), non trova evidenza documentaria. "Dalla lettura dei rotuli, cioè gli elenchi degli insegnamenti e dei professori, si evidenzia nell'anno accademico 1465-1466 la presenza, per la prima volta, di un corso di Strologia tenuto da Angelo Catone (1440 ca.-1496), filosofo beneventano, astrologo e medico di Ferrante I d'Aragona. Tra i suoi più importanti scritti c'è il De cometa anni 1472 in cui Catone riporta le indicazioni fenomenologiche e le caratteristiche di colore e di posizione della cometa, a cui attribuisce il nome di Pogonias; inoltre interpreta l'evento celeste dando indicazioni di tipo astrologico… Agli inizi del Cinquecento il nome che più spicca tra i lettori è quello del monaco celestino Marco da Benevento, teologo e matematico che durante la sua permanenza a Bologna aveva seguito insieme a Copernico le lezioni di astronomia di Domenico Maria Novara, tanto che nel volume Apologeticum opusculum si definisce Syderalis scientiae studioso.
44,00

Federico II re di Gerusalemme e principe a «Berola» Di Andria: il Regno dei Templari e il Principato Neapula da «Baruletto» di Trani a Castel del Monte. (La corona scippata ai Brielle del Lussemburgo nel 1222)

Federico II re di Gerusalemme e principe a «Berola» Di Andria: il Regno dei Templari e il Principato Neapula da «Baruletto» di Trani a Castel del Monte. (La corona scippata ai Brielle del Lussemburgo nel 1222)

Arturo Bascetta

Libro: Libro in brossura

editore: ABE

anno edizione: 2024

pagine: 158

Federico II spese una intera vita per la conquista di decine di regni. E quando si rese conto di essere ormai vecchio non ebbe riconosciuto neppure un trono. Ecco perché decise di rifondarne uno nel luogo primaziale dei pagani, quello appartenuto ai popoli italici dell'Atense. Il pontefice gli strappò dal capo la prima corona del Regno di Sicilia, ma bastò l'ultima, la più antica per antonomasia, a vederlo riconosciuto imperatore d'Oriente e d'Occidente. Spostò così la sua reggia da Civitate Fiorentino at Yriano, sita fra Lucera e Torremajor, e fece nascere Nova Civitatense fra i ruderi dell'antico consolato romano di Teate apula, aggregando Montesacro (Pulsano) di Barola a Lamis, nel futuro territorio di Manfredonia. Fu così che tutti i laici si ritrovarono nelle terre che furono dei Longobardi Beneventani di Arechi II e degli antichi Salernitani Amalfitani, fra Trani e Canosa, per fondare Casteldelmonte. Ma per giustificare il possesso degli ex territori templari, fu necessario assorbire il trono gerosolomitano appartenuto ai Brienne. Da qui lo sposalizio del 1222 con la bella erede, alla quale scippò la corona di Gerusalemme al suocero. Fu allora che il papa gli riconobbe il luogo interno di dentro Yria, cioè ind'A'Uria, volgarizzatasi in Andria, a danno di Beneventum Terra di Lavoro, rasa al suolo. In verità all'inizio furono buttate giù solo le mura di Beneventana Civitate sul Sabato, quella vicina a Civitate Abellino in Atripalda, per poi procedere a fare tabula rasa nel 1250, quando, per inganno, e con la forza, fece disfare da quelli di Andria ogni muraglia che la circondava. Federico II, però, colpito dalle scomuniche e dall'ordine di deposizione dei territori vescovili, rinchiuse la moribonda consorte papalina e il piccolo Corradino, erede della Chiesa, in quel di Andria, e si risposò con Isabella, sorella di Re Enrico III d'Inghilterra. Questa bellissima fanciulla era una donna pratica e dalle mille risorse, ma dovette fare i conti con l'ex suocero che rivolle la corona gerosolomitana, facendone ricadere l'eredità solo su Corradino, nipote comune, ormai orfano di madre ma già indicato alla successione di Sicilia. Lo Svevo stravolge così continuamente i piani di questo e quel sovrano, ma alla fine ha il solo titolo che desiderava, quello laico di Re in Lamis, avendo scippato tutti i territori pugliesi ai templari, e dichiarato la vicaria armena di S. Matteo in demanio perenne, gettando le fondamenta di Nova, in territorio della futura Manfredonia. L'imperatore non aveva mai creduto nel precedente matrimonio con Isabella dei Brienne, essendo interessato all'annullamento della corona di Gerusalemme, fin dallo sbarco a Brindisi, nel giorno stesso sposalizio, dove profanò il talamo con la cugina della sposa, rimasta poi segregata fin da subito in quel di Andria. Il sequestro dei feudi ai templari di Baruletto in Trani rappresenta una svolta storica nei rapporti fra papa e imperatore e il ritorno effettivo a un solo regno heapolitano, cioè degli Ecani d'Apulia. Anzi, proprio quando tutto e tutti furono con Andria, abbandonò la reggia della domus di rito cattolico, per riconoscere solo quella laica, ecana e apostolica, ma imperiale, che andò rifondando a Siponto, mentre il papa riconosceva solo Corradino, a erede dei due regni apostolici. Da qui il ritiro nell'ex Baruletto di Vetere (Trani), dove nacque Castel del Monte, a seguito della scomunica del papa. Gli fu fatale ma necessaria l'alleanza con i Saraceni, l'apertura alle donne e agli uomini liberi, l'idea moderna di un «regno arcobaleno», un trono che si pose in antitesi a quelli dittatoriali di Sicilia e Gerusalemme.
35,00

Don Ferrante e la campagna D'Africa del 1535: Principe di Salerno e Conte di Sarno alla conquista di Tunisi sotto Carlo V

Don Ferrante e la campagna D'Africa del 1535: Principe di Salerno e Conte di Sarno alla conquista di Tunisi sotto Carlo V

Arturo Bascetta, Sabato Cuttrera

Libro: Libro in brossura

editore: ABE

anno edizione: 2023

pagine: 112

In origine non fu che un orfanello. Poi crebbe con la fidanzatina del Cilento e divenne Principe di Salerno a casa del Conte di Capaccio. Era stato abbandonato dalla madre, ma ebbe lo zio per tutore. Don Ferrantino ebbe già moglie, quando si sposò con la figlia del padrino a soli 9 anni ed ebbe per Signoria la Città di Salerno, quando la Provincia fu affidata a Fieramosca. Questi gli argomenti del testo: - Padrone di mezzo Principato fin da piccolo - I Salernitani traslocano alla Giudecca di S.Lucia- A Salerno il Principino, al reame il Reuccio Carlo V- Guelfi e ghibellini durante l'interregno spagnolo- L'invasione francese e l'assedio in Costiera- La flotta "Andrea D'Oria" getta l'ancora a Cetara- La Battaglia del 28 maggio a Capo d'Orso- Napoli invasa dai Francesi, uccisi dalla lebbra- Il Viceré Principe d'Orange perseguita i ribelli- Le Terre dei ribelli date ai Gonzaga: i Ducati- Il Parlamento invia Ferrante all'incoronazione- Governatore nel Principato e poeta a Sorrento- Un nemico in casa: il Viceré Pedro da Toledo- I contrasti con Toledo padre-padrone antisemita- Saccheggi dei Barbari a Cetraro, Costa e Sperlonga- Via Barbarossa da Tunisi, muore il Conte di Sarno- L'Imperatore torna e visita i feudi dei Sanseverino- Carlo V ospite di Ferrante corteggia la Principessa
35,00

Ludovico Reuccio fantasma. Il baliato di Luigi II D'Angiò Incoronato a III re di Napoli. 1386-1389

Ludovico Reuccio fantasma. Il baliato di Luigi II D'Angiò Incoronato a III re di Napoli. 1386-1389

Arturo Bascetta, Sabato Cuttrera

Libro

editore: ABE

anno edizione: 2022

pagine: 128

I primi dieci anni di matrimonio di Maria e Luigi furono dedicati alla costruzione di una famiglia su basi solide. Il grande amore che ne scaturì faceva trascorrere il tempo in una visione della vita all'ombra del castello, senza alcuna partecipazione attiva a Corte. Due lustri che furono di rodaggio alla felicità della famiglia più che a quella delle popolazioni del Ducato. Finalmente Maria restò incinta e si intravide un erede. Erano trascorsi dieci anni di matrimonio quando dalla coppia della maison de France nacque il primo dei tre reali venuti al mondo. In realtà fu una femmina, Marie (1370-1383), che non potrà ricevere nessuna felicitazione, perché, ancor prima di qualsivoglia matrimonio, fu sopraffatta dalla morte, sopraggiunta in tenera età, avendo chiuso gli occhi a soli 13 anni. Ma ecco che dopo 17 anni di matrimonio arrivò l'atteso Luigi II (1377-1417) Duca d'Angiò, titolo sul groppone unito a quelli di Napoli e Provenza, seguito, tre anni dopo, da Carlo del Maine (1380-1404), poi Principe di Taranto, morto a 24 anni. Fu allora che i duchi d'Angiò cominciarono a concentrarsi sui propri stati, a cominciare dalla Provenza, ad essi assegnata dalla Casa reale, entrando nelle grazie dell'antipapa, che lo scisma religioso aveva stabilito in Francia. Già nell'aprile del 1379, dopo aver creato una corte autonoma ad Avignone, l'antipapa cominciò a stimolare Luigi d'Angiò, spronandolo a combattere dalla sua parte. Le promesse erano allettanti e l'investitura a generale papalino in cambio del «Regno di Adria», l'equivalente del Regno di Puglia, apparve la vera alternativa allo stato pontificio del papa di Roma, quello che Carlo III, uccisa la Regina, tenne a sé ben stretto e sottomesso a Napoli. Nel maggio 1382, Clemente VII, pur di ricreare in nome di Dio il patrimonio ravennate, ripartì dalla marca dei Normanni che ne fu vicaria. L'antica villa di Copertino, feudo di Luigi de Brienne di stanza a Venosa, suo gonfaloniere avignonese in Italia, fu la scelta giusta per investire Luigi d'Angiò direttamente del titolo ereditario di Re del Regno di Sicilia, sebbene fosse tutto da riconquistare, proprio come ai tempi dei Normanni. Dopo aver ricevuto omaggio dal Re in pectore, Clemente permise a Luigi di divenire figlio adottivo di Giovanna I di Napoli, al posto dello snaturato durazzesco, e ordinò al suo esercito di proseguire la marcia in aiuto della Regina, attaccata dall'ingrato nipote Carlo III. Luigi partì deciso e contento, accompagnato dai conti Pierre di Ginevra (fratello dello stesso Clemente) e da Amedeo VI di Savoia, suo generale, sostenuto a distanza dalla consorte. La futura Regina partecipò alla lotta per sostegno morale, prima con tante lettere e in un secondo momento, in maniera più attiva, con aiuti materiali ed economici. Scontri locali inattesi però frenarono, e non poco, l'evolversi della riconquista del Regno di Sicilia, essendo quei militi osteggiati da nobili contrari a continuare la sottomissione verso Giovanna I. Ma non solo. Maria si ritrovò da sola a fronteggiare anche la fastidiosa rivolta, capeggiata, in più luoghi della Provenza, da improvvisati sostenitori di Carlo III, divenuto il principale nemico del marito...
35,00

Alla fondazione di Manfredonia. Bizzarrìe di Manfredi di Svevia, fra Napoli e principato nel 1256

Alla fondazione di Manfredonia. Bizzarrìe di Manfredi di Svevia, fra Napoli e principato nel 1256

Arturo Bascetta

Libro: Libro in brossura

editore: ABE

anno edizione: 2022

pagine: 128

Non si finisce mai di imparare. Stavolta bisognerebbe cominciare col dire che il Montesacro non fu a Bari, ma nella res pubblica dei templari della Porta Maiori, fra Civitate Siponto e Civitate del Monte S. Angelo che i longobardi beneventani chiamavano Civitate Monte: la Montagna di oggi. Il libro ripercorre le tappe del giovane spurio Manfredi Lancia, riconosciuto di Svevia, dal padre imperatore Federico II e le fasi della vita che lo portarono alla fondazione di una città tutta sua. C'è da dire che la sua cultura e i suoi possedimenti erano già una ricchezza di famiglia, per via delle conquiste in Lombardia e nel Piemonte, dove sarebbe nato. Da qui l'amicizia fin da giovani con Beatrice di Savoia che divenne ella stessa dote appetitosa dopo la vedovanza col primo marito, l'omonimo Manfredi del marchesato di Saluzzo. Ma non è vero che ne seguirono interminabili scaramucce col Papa, legate più al fratellastro Corradino, perché alla morte dello Stupor Mundi, Manfredi è vicario della Chiesa che ha rioccupato quasi tutto il reame. La nascita di Costanza a Catania rappresenta la sottomissione al Papa in cambio della Corona, ostacolata dai parenti. Da qui la voglia di Manfredi di mettere in atto tutta la sua arguzia e di giocare col popolo che prese ad amarlo per le sue "stravaganze", fra strabotti e poesie, che certo un re indirizzato alla guerra non avrebbe fatto. L'idea di far nascere una città propria, a cominciare dal nome, rappresenta comunque la fine di un'epoca e la voglia di far nascere un regno autonomo nella sua Puglia, nei luoghi antichi che videro il primo trono tricaricense in assoluto. Da qui il soffocamento della tradizione, l'annullamento della storia religiosa e sacra del Gargano e il distaccamento dalla cultura di quello che fu il Montesacro di Siponto, consegnando all'oblìo le antiche Beneventana e Sipontina Civitate, dei documenti longobardi di Santa Sofia delle monache di Lesina, già parzialmente affossate dai terremoti e dalla parziale ricostruzione che a suo tempo cancellò i luoghi di Canne per consegnarli ai nuovi quartieri di Barletta. Questo libro è una passeggiata storica degli autori sul tracciato del cronista coevo, che è Matteo Spinelli, non tanto per riscoprire gli annali, già studiati da molti, quanto per capire in che modo vivevano questi regnicoli del 1200, distaccati improvvisamente dalla tradizione religiosa del Montesacro, per essere proiettati nella nascita di una nuova capitale, Manfredonia, che comunque non avrà ragione di esistere perché nessuno è eterno, nemmeno i Papi e tantomeno i Re.
35,00

Spose al veleno per re Ladislao: pupe e pozioni che uccisero il sovrano di Neapulia di Gaeta nel 1414

Spose al veleno per re Ladislao: pupe e pozioni che uccisero il sovrano di Neapulia di Gaeta nel 1414

Arturo Bascetta, Sabato Cuttrera

Libro: Libro in brossura

editore: ABE

anno edizione: 2022

pagine: 128

A Napoli dicevano che il veleno inseguì Ladislao per tutta la vita. «A Capua, nel 1396, era scampato per miracolo alla morte: il suo coppiere che aveva bevuto prima di lui, Cola di Fusco, cedette di schianto e Ladislao sopravvisse alle febbri venefiche, ma si portò per il resto dei suoi giorni una leggera balbuzie e da quel momento non si fidò più di nessuno». A dire dei più «la sua fine fu segnata da un inganno: il Re Ladislao, invaghito della bella figlia di un medico fiorentino della schiera nemica dei Durazzo, chiese al padre di farla coricare con lui; il medico acconsentì, ma intinse di veleno - con un pannicello medicato con lo quale se devesse anectare la natura - le labbra intime della ragazza, e fu così che Ladislao capitolò alla trappola baciando il sesso dell'amante». Tutti i suoi ambiziosi progetti non si realizzarono mai perché, colpito dalla malattia venerea, fece presto rientro a Napoli, dove morì il 6 agosto 1414. Ancora oggi non è dato sapere se l'avvelenamento che distrusse la vita del giovane sovrano a soli 38 anni fu esecuzione politica di Firenze, se fu opera di una fanciulla, o se in realtà fu una malattia infettiva dell'apparato genitale, causata dalle abitudini sessuali dissolute e promiscue del sovrano. C'è una locuzione latina nota per essere stata spesso sulla bocca di Ladislao I Durazzo. Difatti, del Re che unificò l'Italia da Perugia a Taranto, è ancora vivo il suo motto, aut Caesar, aut nihil! Proprio così: O Cesare, o niente!
35,00

Il fratellastro della vera regina. Ladislao rinchiude Giovanna II, Re di Neapolis a Gaeta dal 1390

Il fratellastro della vera regina. Ladislao rinchiude Giovanna II, Re di Neapolis a Gaeta dal 1390

Arturo Bascetta, Sabato Cuttrera

Libro: Libro in brossura

editore: ABE

anno edizione: 2022

pagine: 96

Nessun re di Napoli si era spinto fino a tanto. Ma lui, Ladislao, figlio di Carlo III della Pace, imprigionata la sorellastra che la madre aveva avuto con Carlo Il Piccolo, riconquistó quasi tutta l'Italia per consegnarla al Papa in cambio del titolo, giungendo oltre Perugia. Ma fu l'amore a tradire il Re di Neapolis Gaeta, il Re di Neapulia Napoli, il Re di Roma. Ladislao, le amicizie particolari, gli amori sfrenati, le stranezze di un regnante. Di questo parliamo negli ultimi due volumi sul figlio di Carlo III ucciso dal veleno. Fu Giovanna II, Regina nella Reggia di Accola, a farlo stroncare da un bicchiere di vino servitogli da Sforza?
25,00

Del Balzo «re di Teate» nel 1374. Così nacque lo scisma del Papa di Napoli

Del Balzo «re di Teate» nel 1374. Così nacque lo scisma del Papa di Napoli

Arturo Bascetta, Sabato Cuttrera

Libro: Libro in brossura

editore: ABE

anno edizione: 2020

pagine: 120

I del Balzo avevano strappato Matera ai Sanseverino annettendola al neonato Principato di Taranto del Principe Giacomo, che si intendeva far ricadere nell'antiregno isolano della Regina Maria di Trinacria e non in quello fatto nascere da Giovanna I a Napoli, con il Castello Nuovo a Piazza del Gesù e la metropolia primaziale in s. Chiara, rifondata dopo il terremoto del 1348. Seguì la ribellione dei del Balzo diretta a costruire il Regno di Trinacria, tentando forse di annettervi un pezzo delle Calabrie con l'occupazione di Taranto, o addirittura un regno autonomo, ripartendo dall'antico Principato tricaricense di Teano Apula confuda con Teano dei Sdidicini...
30,00

Caserta vicaria del Regno d'Italia del 1094. Si chiamò «Ad Novas» la capitale normanna del Gran Ducato di Sicilia

Caserta vicaria del Regno d'Italia del 1094. Si chiamò «Ad Novas» la capitale normanna del Gran Ducato di Sicilia

Arturo Bascetta, Sabato Cuttrera

Libro

editore: ABE

anno edizione: 2020

pagine: 120

Ruggiero I tolse la vicaria di Capua ai Romani, nel 1094, e l'Imperatore tolse Roma al Papa, protetto dai Cassinesi, che ripescarono il Regno d'Italia di Pavia e fondarono la vicaria del Padus, a Nova S.Maria dei Beneventani di s.Benedetto, nel 1096. Tutto cominciò con un incontro fra Urbano II e Ruggiero Loritello nell'aprile del 1088, quando ricevette visita, a Traina. Bisognava decidere sull'ordinamento ecclesiastico relativo ai riti delle sue chiese greche e latine, chiedendogli di abbracciare la causa di Matilde di Toscana per la liberazione del Nord delle truppe tedesche riappacificando anche tutto il Comitato di Sicilia. A lui si deve anche il riavvicinamento con l'Imperatore bizantino, cominciato nel 1088, avendo come obiettivo l'unione delle chiese di rito diverso, esortando gli stessi cristiani a difendere la chiesa orientale, il che significò guerra dichiarata all'Imperatore francofono. Il Concilio di Melfi del 1089 annunciò la sospendere ogni contrasto, procedendo ad una riorganizzazione dei feudi e progettando un reclutamento di massa di militari. Fu quindi redatto uno statuto scritto dai comiti di tutto il viceregno imperiale dei Franchi, Re di Roma, con sede a Castelcapuana che anticipava un giuramento solenne che ricordasse la Santa Trevia da tenersi nel 1090.
30,00

Regina Heapula, Canosa di Eca presa dai Guelfi nel 1093. Ducato di Barletta, Principato di San Leucio

Regina Heapula, Canosa di Eca presa dai Guelfi nel 1093. Ducato di Barletta, Principato di San Leucio

Arturo Bascetta, Sabato Cuttrera

Libro: Libro in brossura

editore: ABE

anno edizione: 2020

pagine: 120

Una serie di comitati militari capuani e caetani, organizzati dai normanni di Neapolis Gaeta, cioè i dell'Aquila di patria siracusana, dopo aver detronizzato Capua, vicecapitale del Regno di Roma e fondato Ad Novas a Casertavecchia, si avviarono così in Puglia per togliere i territori agli eredi del Guiscardo. Ebbero l'obiettivo di annientare Borsa, sedendo lo Zio Ruggiero I a Bari, come antiduca di Puglia, benché fosse difeso e spalleggiato da Salernitani e greci. Li guidava il Gran Duca Ruggiero Loritello dei dell'Aquila di Gaeta, di antica stirpe dei Blosseville della Normandia. Occorreva fondare chiese di rito latino nel territorio dei greci e assorbirne le rendite per neutralizzare i nemici comuni. Il Comitato casertano dei militari tricaricensi partì dalla Cittadella dove si insediatono a loro volta i dell'Aquila di Ruggiero I di Gaeta, che fu Loritello, per occupare le Terre di San Giovanni Rotondo, cioè subito a Borsa la terremotata Benevento, lasciandolo senza Urbe antica delle Terre Beneventane, e sottrarle al Ducato Apulia del figlio Guiscardo, per annetterle al nuovo Ducato di Bari guidato dallo Zio Ruggiero I, a sua volta fratello del fu Re di Rama. I Lorotelli normanni di Gaeta, intanto, crearono da zero la cittadella capofila della nuova regione pugliese, la nuova città del Capo rispetto alla Napolis di provenienza, che avrebbe sottomesso la distrutta Equa-Eca-Troia del Golfo della Magna Grecia dove si trovavano.
30,00

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