Libri di Annamaria Carenzi
L'eloquenza delle lacrime
Jean-Loup Charvet
Libro: Libro in brossura
editore: Medusa Edizioni
anno edizione: 2021
pagine: 132
«Le lacrime sono gravi eppur lievi - scrive nella Prefazione, il cardinale Ravasi -, intrecciano tragedia e grazia; anzi, presiedono al dolore e alla gioia perché se «il gemito è l'urlo del silenzio», è altrettanto vero che est quaedam flere voluptas, che c'è piacere nel piangere, come osservava Ovidio nei suoi Tristia (IV, 3, 27). Anzi, come diceva sant'Agostino, «nessuna cosa è talmente unita alla felicità quanto il pianto». Le lacrime, insomma, sono la «calligrafia dell'anima e dell'emozione». Lo sono anche per la stessa esperienza di fede. Il Salmista in un verso di straordinaria efficacia afferma che il Pastore supremo delle nostre anime, Dio, raccoglie nell'otre - che è quasi lo scrigno del nomade - le perle delle lacrime umane, registrandole una per una: «Le mie lacrime nell'otre tuo raccogli: non sono forse scritte nel tuo libro?» (Salmo 56, 9). Per questo il maestro chassidico rabbi Mendel di Kotzk era convinto che «Dio preferisce le lacrime più delle preghiere», mentre il Bellarmino le considerava «il condimento della preghiera». Perché, come si scrive nelle pagine che si aprono davanti a noi, «la lacrima spegne il fuoco del peccato e attizza quello della grazia, è una cera che purifica l'anima incendiando il cielo». Purificato il cuore con il pentimento, «l'occhio vede bene Dio solo attraverso le lacrime» (V. Hugo). Queste e altre (molte altre) sensazioni, emozioni, riflessioni, intuizioni Charvet fa balenare nelle sue poche, dense eppur lievi pagine. La sua attenzione si fissa in particolare sull'amata "sensibilità barocca che ama dipingere i tratti di un viso che oscilla tra riso e pianto, gravità e leggerezza, esteriorità e interiorità". Soprattutto la musica lo aiuta a esprimere maggiormente la muta eloquenza del pianto. Il sontuoso apparato di citazioni - necessarie in un testo di questo genere - raggiunge il suo apice nell'armonia del linguaggio musicale, forse ancor più nitido di quello, pur decisivo, della visione pittorica».
Raffaello
Henri Focillon
Libro: Libro in brossura
editore: MC
anno edizione: 2020
pagine: 118
Grande amore di Henri Focillon, uno dei massimi storici dell'arte del Novecento, fu il Rinascimento italiano, al quale dedicò tre saggi fondamentali: quello del 1910 su Benvenuto Cellini; un secondo, nato dalle lezioni che tenne alla Sorbona nel 1934-1935 su Piero della Francesca; e questo, su Raffaello, scritto nel 1926. Le monografie, i cataloghi ragionati sull'opera di Raffaello sono innumerevoli, l'interesse della critica e del pubblico è vivissimo e destinato ad aumentare in questo anniversario che ne celebra i cinquecento anni dalla morte. Una intramontabile attualità che si delinea con esattezza anche nelle parole dello stesso Focillon: «Uno studio di Raffaello non è necessariamente inattuale. In un modo non ancora ben chiaro partecipa di un'epoca che cerca di ricostruire la forma e che ha nostalgia dello stile». È la chiave di volta di queste pagine, su cui Marco Bussagli, nella Prefazione, osserva che lo storico dell'arte francese «certo si riferisce al XX secolo e al ruolo del suo scritto», ma è anche una dichiarazione che «si attaglia perfettamente a descrivere quel processo stilistico che sarà del manierismo e che, in ogni caso, mostra come fin da allora Focillon seguisse quelle che potremmo definire isoidi dello stile e delle forme cercando e trovando corrispondenze tra il passato e il presente».
Il letame di Giobbe
Bernard Lazare
Libro: Libro in brossura
editore: Medusa Edizioni
anno edizione: 2004
pagine: 124
Alla fine del XIX secolo la Francia è spaccata in due sull'Affaire Dreyfus, l'ufficiale ebreo ingiustamente condannato per alto tradimento. È soltanto l'iceberg di una questione antisemita più radicata. Fra i primi a sollevarsi in difesa di Dreyfus c'è Bernard Lazare, un giovane intellettuale di idee anarco-socialiste, pure lui ebreo, che proprio negli stessi anni dà alle stampe un saggio in due volumi sull'antisemitismo dove, fra le altre cose, imputa agli ebrei una parte di responsabilità nell'origine del fenomeno, come conseguenza del loro "comportamento asociale". In realtà, l'Affaire Dreyfus è l'inizio di una presa di coscienza per Lazare della condizione di "paria" in cui versa l'ebreo nelle società europee tra fine Ottocento e primo Novecento.